La filosofia, come visione del mondo totalizzante, ha influenzato - attraverso i secoli, com’è noto - tutti i settori del sapere, della vita, dei costumi, e dell’opinione pubblica; non esclusa, naturalmente, la moda vista l’importanza che, nel corso dei tempi, essa ha rivestito come indizio di un’epoca o di un gusto. Ora, senza partire da troppo lontano bisogna aggiungere che nel mondo greco romano è facile rinvenire quegli atteggiamenti o espressioni di idee artistiche che vanno sotto il nome, appunto, di moda; ferma restando, però, la considerazione secondo la quale già le civiltà orientali - segnatamente l’egizia - offrono esempi di alta eleganza ad onta della semplicità e della genuinità, insieme, delle fogge e delle forme.
Ora, siccome la Grecia resta la patria della filosofia - e non solo di questa - da qui ci piace partire per un "excursus" intorno all’articolazione della moda attraverso i tempi; moda, condizionata non soltanto dal movimento di idee, nella fattispecie la filosofia, di un dato momento storico, ma anche da altri motivi quali, ad esempio, il clima, i materiali e, non ultimo, le continue modificazioni del gusto. Per restare in Grecia, tra i secoli VI e IV a.c. - secoli in cui dominano i grandi sistemi di Socrate, Platone e Aristotele - l’abbigliamento, maschile e femminile risente, di tale temperie mantenendosi intatto per molto tempo.
Per quanto riguarda gli abiti dei due sessi di tale periodo, essi vanno dal chitòne, maschile e femminile, all’imàtio; il primo, per gli uomini, è una sorta di veste, senza maniche, fino al ginocchio; quello femminile è più elaborato perché è costituito di stoffa oblunga avvolta attorno al corpo e con delle aperture per le braccia. L’imàtio rimane coperto sul capo e sulle spalle, mentre la clàmide è affibbiata al collo o all’omero. Sempre per le donne greche, molto elaborato resta, in quest’epoca, il peplo, sorta di sopravveste di lana pregiata; famoso al riguardo, è il peplo di Pallade Atena elaborato dalle fanciulle di Atene per le feste panatenee. È questa, dice lo studioso Ugo M. Palanza, " la Grecia delle grandi battaglie e delle passioni" che "non ebbe lunga vita, ma la Grecia della moderazione e della religiosità dell’equilibrio spirituale e dell’armonia delle forme (...) è immortale.
Passando, adesso, a Roma, la situazione inerente alla moda rimane, nel complesso, identica salvo alcune sostanziali differenze. In età imperiale, da una parte, gli uomini portano la tunica che assomiglia parecchio al chitòne e, dall’altra, la tunica lunga con laticlavio o la tunica lunga con angusticlavio sebbene sia la toga il mantello nazionale dei Romani.
Essa, portata sopra la tunica, è fatta di lana e sale dall’incrocio dei piedi alla spalla sinistra da dove scende al fianco destro per, poi, adagiarsi dietro ai calcagni.
Le donne romane, dal loro canto, indossano abiti molto elaborati ed eleganti come la stola - veste femminile che arriva fino ai piedi - e il mantello anch’esso abito muliebre molto ampio e di rara bellezza. Per avere un’idea dell’eleganza e della finezza dell’abbigliamento latino, basta osservare le leggiadre vesti dei romani e delle romane rappresentate sulle pareti dell’"Ara Pacis" a Roma, nonché le statue di Cesare e di Augusto. Senza contare, poi, l’effigie del filosofo Marc’Aurelio, ritratto mentre compie un sacrificio, le immagini di Stilicone e della moglie Serena, nonché di numerosissimi altri personaggi dell’Urbe.
Sicché ha ragione lo studioso W. Koppo quando osserva, giustamente, quanto segue: "come splendidamente doveva far risalto colà tra le variopinte fogge dei barbari, il temuto drappo dei Romani!".
L’alto Medioevo, com’è noto, non riserva particolare importanza all’abbigliamento e ciò anche per effetto della filosofia e della cultura che dominano in tale frangente. Visioni della vita, queste ultime, improntate a particolare rigore morale e a grande senso del peccato e, in quanto tali, negatrici della vita. In questi secoli - segnatamente quelli che si articolano dal V all’VIII, ma anche nei due successivi - la speculazione è priva di originalità tant’è vero che i pensatori dell’epoca si limitano soltanto ad elaborare sintesi scolastiche e compilazioni enciclopediche di scarso valore.
Le questioni teologiche, comunque, tengono il campo e il rigore dei costumi è sempre presente quantunque la classe nobiliare feudale si ammanti di fogge talvolta eleganti e di squisita fattura. Sicché, bisognerà attendere il secolo XII - in piena rinascita comunale e in una situazione di notevole miglioramento delle condizioni di vita - per assistere ad un certo cambio di prospettiva anche nel campo della moda. Pure la filosofia prende slancio e - prima, con Abelardo, S. Bernardo e i Vittorini e, nei secoli successivi, con l’avvento della Scolastica - favorisce un mutato clima culturale, sociale e spirituale.
Il pensiero, segnatamente italiano, mette le ali e le potenti sintesi di S. Bonaventura, S. Alberto Magno, e S. Tommaso d’Aquino influenzano ogni ramo dell’umano sapere. Dietro tali stimoli, la moda fa alcuni passi avanti anche se il vestito è ancora di lana - più spesso di tela considerato che quello di seta è quasi proibitivo - e sostanzialmente identico per entrambi i sessi. Esso consta, generalmente di un solo pezzo che partendo dal collo raggiunge le caviglie e vi si adagia. Nel secolo XIII, la situazione resta, nel complesso, immutata, perché se è vero che la filosofia scolastica offre grandi prospettive di rinnovamento, è altrettanto certo che il corpo umano - restando il veicolo ineliminabile per un corretto e adeguato abbigliamento - non è ancora autorizzato ad esprimere la ricchezza delle sue fattezze.
In tal atmosfera, le vesti si mantengono sempre lunghe con cintura ai fianchi e un mantello, anch’esso esteso fino alle caviglie; anche in questo caso, l’eleganza è assicurata. Frattanto, siamo nel secolo XVI, anche la Scolastica si sta esaurendo sebbene le ultime voci - quelle di Scoto e Okham - siano dottrine originali; il preumanesimo inizia a far sentire la sua efficacia e già si intravedono i primi frutti della nuova concezione della vita che opera un taglio netto col passato.
La moda, maschile e femminile, diventa più smaliziata ed ecco che nuove forme di abiti appaiono all’orizzonte come preludio ai due secoli successivi durante i quali l’Umanesimo e il Rinascimento si eleveranno ad altezze mai prima raggiunte. La moda del XIV secolo qualche novità, ad ogni modo, la introduce per il semplice motivo che i vestimenti dei due sessi assumono una fisionomia di modernità. Quello, ad esempio delle donne, ampio col suo panneggio, tocca terra insieme con un mantello che conferisce grandissima dignità a chi lo indossa. Nell’uomo compaiono, al contrario, le lunghe calze con al di sopra una specie di tunica che raggiunge i ginocchi senza coprirli. Ma saranno, come abbiamo accennato, gli umanisti e i filosofi della Rinascenza che determineranno una svolta nella moda per la semplice ragione che tali dottrine affermeranno non solo la dignità dell’uomo, ma anche la centralità di quest’ultimo, in quanto microcosmo, nell’universo infinito o macrocosmo.
Ficino, Pico, Cusano, questi alcuni nomi della svolta che coinvolge l’intero sapere e tutta l’attività umana in una tensione verso l’alto che rende l’uomo l’autentico signore del mondo; uomo che non ha più limiti davanti a sé e che, con le sue forze si rende "faber fortunae suae". Per avere una prova del mutamento di direzione, in tale campo, è sufficiente esaminare i dipinti e le opere figurative dei grandi artisti del periodo quali, per fare qualche esempio, Raffaello, Botticelli, Leonardo e numerosissimi altri.
Per conoscere, portando un altro esempio, le fogge dell’età del duca di Milano, Ludovico il Moro (1452-1508) basta recarsi presso la Chiesa di S. Maurizio a Milano e ammirare gli affreschi di Bernardino Luini nei quali grande è lo sfarzo e l’eleganza dei personaggi più in vista del tempo, dame e cavalieri. Ciò perché, adesso, i gusti sono più squisiti e sofisticati ragion per cui anche l’abbigliamento si allinea con lo spirito dei tempi nuovi. E, al riguardo sintomatico resta "Il Corteggiano" di Castiglione perché anch’esso è un affresco letterario - uno dei più seducenti - di questo periodo giudicato dal Burkhardt quasi inarrivabile per la raffinatezza dell’arte e dei costumi.
Sicché, se l’abbigliamento femminile, così come quello maschile, è così elaborato nelle forme, nei colori, nelle stoffe, nei panneggi e nei veli, allo stesso modo, una notevole distanza separa il modo di vestire delle gentildonne e dei gentiluomini da quello del popolo. Gli abiti di quest’ultimo conservano sì la loro misurata dignità, ma non possono, in nessun modo, rivaleggiare con le ricercatezze e il buon gusto dei ceti nobiliari e più abbienti.
Se, infatti, il popolo veste in maniera più semplice, le classi egemoni non si risparmiano in affettazioni e sottigliezze d’ogni tipo specialmente durante le cerimonie legate alla danza, ai matrimoni e alle rimanenti occasioni di vita mondana. La celebre "Primavera" di Botticelli e "Il Presepio" di Raffaello, limitandoci solo a due esempi, ne sono la prova più tangibile; segno evidente della singolare ricerca di perfezione di tale epoca storica che non ha pari nel corso dei secoli. Ma sono i grandi filosofi del periodo che preparano questa temperie di alto valore speculativo se è vero, com’è vero, che Ficino, da una parte - con la celebre dottrina dell’uomo "copula mundi" - Pico della Mirandola - con la teoria del "De hominis dignitate" - e Cusano - con la concezione della "coincidentia oppositorum" - dall’altra, raggiungono le vette del pensiero umanistico.
Spetterà, nel secolo successivo, ai grandi Telesio, Bruno e Campanella definire e portare alla perfezione i motivi dell’Umanesimo mediante una precisione speculativa dell’immensa potenza espansiva della personalità dell’uomo nell’universo. Di conseguenza, anche per effetto di tali impulsi ascensionali, i vestiti, maschili e femminili, dei secoli XV e XVI si presentano abbastanza simili, ma non identici; la veste lunga, talmente lunga da coprire addirittura i piedi, rimane sempre una caratteristica tipicamente femminile benché, nel Quattrocento, prevalga la manica larga rispetto alla manica corta del Cinquecento.
Le fogge maschili di questi due secoli sono simili con la differenza, però, che nel secolo sedicesimo il cavaliere porta la spada al fianco sinistro quale simbolo di autorità e di potenza. Esauritasi, frattanto, la grande stagione rinascimentale, il secolo XVII si presenta, almeno in Italia, come periodo di parziale decadenza; parziale in quanto le arti figurative risultano abbastanza vitali nelle loro ricerche seppure nelle sembianze del barocco con le sue ricercatezze formali.
La società italiana, infatti, compresa una parte di quella europea, risente dell’influsso esercitato dal pensiero spagnolo; pensiero fatto di orpelli e di cose pompose sicché alla moda non resta che adeguarsi. Ora, se è vero che in Italia vive uno dei più grandi pensatori di ogni età, Giambattista Vico, è pure certo che egli resta un isolato come isolato sarà il suo contemporaneo Spinoza. Ora, siccome questa è un’epoca di ristagno e di fiacchezza etica, anche la moda risente del clima negativo raggiungendo forme affettate e insincere con gli uomini coperti di capaci pantaloni, ampie giacche e grossi cappelli ad estese falde. Le donne, dal loro canto, indossano lunghi vestiti, finemente lavorati, che si avvalgono di spaziosi colletti su cui poggia la testa. Fanno la comparsa, in questo momento storico, i grandi cinturoni e i grossi stivaloni forniti di fibbie; tali accessori rendono, spesso, impacciate le movenze degli uomini.
La moda seicentesca francese non si discosta, in sostanza, dai canoni citati anche se privilegia, per i cavalieri una folta capigliatura e altri ornamenti, come le spalline di tessuto pregiato, e per le dame, dei tessuti finissimi e molto elaborati stilisticamente.
Il XVIII secolo è la stagione dell’Illuminismo che in così larga misura impregna di sé l’intera società francese ed europea, in generale. La filosofia settecentesca - col suo razionalismo, ottimismo, cosmopolitismo, antistoricismo etc. - si afferma, con prepotenza in tutto il vecchio continente imponendo le sue regole e i suoi metodi anche al modo di vestire, segnatamente durante la Rivoluzione.
L’"esprit de géometrie", il primato della ragione, la polemica contro l’oscurantismo medievale, lo stato di natura, il deismo e l’idea di progresso, tutti questi motivi favoriscono un clima di radicale cambiamento dei costumi, del modo di vivere e della moda delle generazioni del singolare momento storico nell’abbigliamento, ad esempio, osserviamo tre atteggiamenti fondamentali. Il primo vede, infatti, la donna fasciata dall’ampia e ricamata veste che, stretta alla vita, si allarga fino a formare una sorta di campana. Un turbante le copre i capelli e un ventaglio dispiegato nella mano destra contribuisce a conferirle dignità.
Il secondo, detto "merveilleuse", risalente al periodo del Direttorio, coglie la donna in un atteggiamento più dimesso, con una lunghissima veste e un grande cappello ovale. Se la scelta cade su vestiti semplici, ciò significa, pertanto, che il clima è cambiato: sempre per le donne, vige, ad esempio, non solo il divieto per il colore rosso, ma anche la proibizione di portare le parrucche o i capelli divisi a metà fluenti sulle spalle. La moda maschile è logicamente intonata all’atmosfera rivoluzionaria - atmosfera che ha come padre Rousseau con la sua rigorosa dottrina morale e della volontà generale - tant’è vero che ci si veste con meno artifici visto che scompaiono anche i galloni, i fregi e i ricami. In seguito prenderà il sopravvento il vestito popolare con giacca corta, camicia senza cravatta e pantaloni lunghi.
Il terzo atteggiamento, infine, chiamato "impero" ci porta in epoca napoleonica. L’abbigliamento femminile rinnova le linee verticali e le stoffe sono pregiate perché composte di raso, velluto e velo; la donna si avvale pure di una chioma a coda di cavallo particolarmente efficace.
In questi frangenti occorre valorizzare di più il corpo femminile, ragion per cui si affermano le scollature e le braccia nude come segno di femminilità e di erotismo, mentre l’abbigliamento maschile rimane, invece, più sobrio e misurato: "coulottes" fino al ginocchio, fascia avvolta obliquamente attorno alla giacca e, per finire, spada al fianco e calzature con fibbie stilizzate. Ma c’è anche una variante al modo di vestire degli uomini in questo momento storico; i quali uomini indossano un lungo giaccone, un paio di stivaloni con risvolti e un grande cappello quasi alla brigante.
Il nuovo secolo, il XIX, si apre con la presenza in Europa di tanti fermenti, politici, culturali, sociali ed economici tant’è vero che allo spirito reazionario - incarnato dal Congresso di Vienna - si giustappone il clima rivoluzionario e libertario del Romanticismo. Ancora una volta la speculazione influenza, in maniera determinante, i costumi, le abitudini, le usanze e, naturalmente, la moda. L’opposizione romantica al razionalismo illuministico è vigorosa e una nuova categoria, il sentimento, s’impone come denominatore comune della nuova grande stagione culturale che si concretizzerà con l’avvento del possente pensiero idealistico.
Pensiero che esprimerà sommi filosofi come Fichte, Schelling, Hegel e altri uomini di cultura di prim’ordine che impregneranno di sé l’intero secolo. La moda non è da meno nel clima di rinnovamento voluto dal Romanticismo ed ecco che nel primo trentennio dell’Ottocento la maniera di vestire delle donne assume nuove dimensioni estetiche. L’abito, molto stretto alla vita, si allarga a forma di campana fino a strisciare per terra coprendo i piedi. Le maniche sono lunghe fino ai polsi e una evidente scollatura lascia intravedere il seno. La moda maschile assume anch’essa una nuova fisionomia - e ciò in ossequio al fervore di quegli anni - tant’è che, da una parte, l’uomo, indossa lunghi e aderenti pantaloni e, dall’altra, calza scarpe con fibbie stilizzate. Sopra i calzoni egli porta un giubbetto un po’ sbottonato e allacciato al collo un elegante mantello che arriva fin quasi alle caviglie. Pure il bastone su cui si appoggia la mano destra conferisce al cavaliere di questo periodo un certo decoro.
Tali fogge restano sostanzialmente intatte per diversi decenni, ma verso il 1890 assistiamo ad una nuova svolta per il semplice motivo che anche a causa delle teorie positivistiche che, tra l’altro, si stanno esaurendo - i toni diventano più dimessi per l’emergere di istanze concrete. Il vestito maschile non presenta grandi novità, mentre quello femminile, in aderenza alla mentalità dei tempi, si presenta molto aggraziato nella sua semplicità. La veste è sempre unica, lunga da toccare terra, accollata e densa di panneggi; le maniche sono lunghe, ma si allargano molto ai polsi, mentre i capelli sono coperti da un piccolo e grazioso cappellino. Un ombrellino valorizza il portamento della donna di fine secolo.
Il XX secolo si apre con grandi aspettative e grandi speranze anche se l’ombra di un eventuale conflitto di portata catastrofica attutisce gli entusiasmi e gli ottimismi. Le filosofie neoidealistiche, intuizionistiche e pragmatistiche tengono il campo sicché anche i gusti si trasformano in direzione di forme decisamente più attuali. Gli slanci vitali di tali dottrine - bergsonismo, attualismo, filosofia dell’azione - preparano una temperie estetica oltremodo dinamica e per la prima volta l’abbigliamento degli uomini si distingue per la praticità e l’eleganza insieme del cosiddetto completo rimasto sostanzialmente identico fino ai nostri giorni.
Sotto la giacca, a tre bottoni e tasche laterali, spicca una camicia con colletto rotondo e relativa farfalla; le scarpe sono un po’ a punta e un cappello ovale funge da copricapo appoggiato leggermente alla testa.
L’abito della donna rimane sempre lungo ed è allacciato alla vita con una cinta che scende al centro a mo’ di sciarpa; la scollatura è a balconcino e un cappellino a fiori con una lunga tesa spicca sulla testa. Verso il 1925, l’abbigliamento femminile diventa più snello ed essenziale senza che ne soffra l’eleganza; il vestito è formato da un solo pezzo e arriva al ginocchio; esso non è stretto né largo e si fa valere per la sua sobria delicatezza; la scollatura è a "v", le maniche sono lunghe e una lunga collana con un nodo al centro scende delicatamente fino alla vita. Anche le scarpe sono più agili e una sottile fibbia le allaccia in senso trasversale. L’abito maschile è più o meno uguale al precedente; solo la giacca è più snella, ha due bottoni e un taschino laterale in alto; la camicia è come quella di oggi e la cravatta sostituisce la farfalla.
La coppola, a quadri scozzesi, infine, prende il posto del cappello poiché d’impronta più sportiva.
Da questo momento, dagli anni Trenta ad oggi, cioè, la moda di entrambi i sessi si arricchisce di tali forme, sagome, strutture e fogge da diventare una vera e propria arte con gli stilisti che - almeno negli ultimi decenni - si presentano come i veri ed autentici depositari delle tendenze, degli indirizzi e delle innovazioni più rispondenti alle multiformi esigenze degli interessati. I messaggi della moda dei nostri giorni sono così fertili di progetti, proposte, idee e quant’altro - ivi comprese le sofisticazioni in essi presenti - da essere sotto gli occhi di tutti sebbene si debba, doverosamente, aggiungere che l’ultima influenza filosofica degna di nota, nel bene e nel male, sulla moda è stata quella - tra gli anni Cinquanta e Sessanta - dell’esistenzialismo letterario francese di origine speculativa.
Ci riferiamo al clima imperante nei sotterranei, intrisi di fumo, dove i giovani e i meno giovani bruciano il loro tempo in atteggiamenti languidi e comportamenti esistenziali di carattere decadente; l’abbigliamento, è, naturalmente, scuro e i cosiddetti "blousons noirs" fanno tendenza fino quasi ad imporre atti e condotte alla maggioranza della gioventù d’oltralpe. Anche i loro cantanti più in voga hanno nomi famosi: Yves Montand e Juliette Gréco. Quella stagione è finita da un pezzo e, nella generale crisi di valori che attanaglia l’intera società contemporanea, pure la moda rischia di fossilizzarsi in esiti volgari e di cattivo gusto.