RENATO COMPOSTO, UOMO Dl SCUOLA di: Ida Rampolla del Tindaro

Il ricordo di Renato Composto uomo di scuola è per me indissolubile da quello dell’uomo di cultura, di una cultura profonda e varia, ma intrisa di profonda umanità.

Prima di conoscerlo personalmente, lo conoscevo già di fama: sapevo che quando era prigioniero in Africa dal 1943 al 1945, per impiegare utilmente il tempo, aveva organizzato insieme a un gruppo d’amici e cioè i professori Pietro Mazzamuto, Aldo D’Asdia, Franco Salvo ed altri - divenuti poi quasi tutti presidi o docenti universitari - un vero e proprio liceo classico, con lezioni e conferenze seguite con profitto e interesse dagli ufficiali: una grande dimostrazione pratica dell’utilità e del confronto degli studi nelle circostanze più difficili o dolorose.

Dopo aver insegnato storia e filosofia al liceo classico V. Emanuele, Composto vinse un concorso a Preside e iniziò la sua carriera al liceo classico di Patti, dove ebbe come allievo uno degli attuali più alti esponenti dell’amminisrazione scolastica, Carmelo Maniaci, che ha sempre conservato un luminoso ricordo della figura di Composto educatore e uomo di scuola.

Tra gli altri prestigiosi istituti da lui diretti bisogna ancora ricordare il liceo classico di Partinico e, a Palermo, l’Educandato statale M. Adelaide, il liceo scientifico Cannizzaro e il liceo classico Umberto.

Quando, appena giunta all’Umberto in qualità di docente di francese. mi presentai a lui. cominciò subito col citarmi un autore francese del quale mi ero in quel periodo occupata e sul quale avevo scritto degli articoli che egli dimostrò di conoscere. Ecco dunque. per me, la prima sorpresa: Composto era un preside che non si chiudeva nelle sue discipline specifiche ma amava allargare i propri orizzonti e dare spazio, come ebbi in seguito modo di constatare, a quelle che allora. in un liceo classico, erano un po’ le cenerentole, e cioè le lingue straniere.

È vero che il francese conservava allora una sua valenza culturale che poi a poco a poco ha perduto di fronte all’importanza che il fattore comunicativo andava assumendo nella società della comunicazione, con il conseguente predominio dell’inglese: ma nei licei, anzi nei ginnasi, perché le lingue allora si studiavano solo al biennio, queste non erano considerate importanti quanto le altre materie. Composto invece non la pensava cosi ed era attento anche ai nuovi sviluppi dello strutturalismo, che proprio in quegli anni si andava affermando ma che, nell’ambiente scolastico, era studiato, agli inizi, solo da alcune associazioni di insegnanti di lingue attenti alle nuove suggestioni metodologiche che giungevano d’oltralpe.

L’aggiornamento, nelle scuole, consisteva in sporadiche lezioni-conferenza tenute da docenti universitari su argomenti sempre rigorosamente disciplinari. Di interdisciplinarità non si parlava ancora, né si ricorreva a lavori di gruppo, Composto, per fare interessare i docenti alle novità metodologiche, ricorse ad un ingegnoso stratagemma: in una circolare si servì di alcuni termini tipici dello strutturalismo, come sincronia e diacronia, facendo riferimento all’opera del Saussure, che nel frattempo aveva provveduto a far acquistare per la biblioteca. Qualche giorno dopo mi disse, con un risolino soddisfatto, che il suo nascosto invito all`aggiornamento aveva funzionato e che diversi insegnanti avevano chiesto il libro in prestito.

Questo senso di apertura verso le novità in campo didattico caratterizzò sempre la sua opera di preside: per quanto riguarda le lingue, poi il preside Composto può essere considerato un antesignano delle nuove metodologie.

Ricordo la sua soddisfazione quando una quinta ginnasiale recitò con vivacità e passione nel palcoscenico dell’aula magna una commediola in francese: era il primo rudimentale tentativo di quella drammatizzazione di cui poi, per quanto riguarda l’insegnamento linguistico, si è tanto parlato, ma che allora - nei primi anni Sessanta - rappresentava una novità. Ricordo anche il suo deciso appoggio all’abbonamento a riviste straniere per ragazzi, che prima, in un liceo classico, non si erano mai viste, e la sua gioia quando due alunne vinsero un concorso bandito da un giornalino francese: venne addirittura in classe con il pacco-premio ancora chiuso, e volle aprirlo in loro presenza, felice quanto le vincitrici. E ricordo l`appoggio da lui dato a un giornalino scolastico che si chiamava Colibrì, fatto in collaborazione con un liceo di Ajaccio, il liceo Letizia Bonaparte, dove si studiava l’italiano, con articoli scritti in italiano dai ragazzi corsi e in francese dagli alunni dell`Umberto. Allora non esistevano gli scambi o i programmi europei, quindi una collaborazione con l’estero aveva tutti i caratteri della novità. Perfino il Giornale di Sicilia dedicò un articolo all’iniziativa.

Composto aveva dunque, già allora, una concezione moderna della didattica e amava quelle novità che poi, dopo il ‘68, sarebbero state richieste a gran voce dagli studenti mentre allora, all’Umberto, venivano già attuate grazie al suo appoggio.

Naturalmente, come preside era anche attento a tutto l’andamento scolastico: teneva moltissimo alla puntualità, all’ordine, alla precisione e non esitava a fare le sue rimostranze nei rari casi in cui ciò si rivelava necessario. Non alzava però mai la voce: le sue osservazioni erano accompagnate sempre da un sorrisetto a volte quasi sardonico, da un’ironia sottile e da uno sguardo penetrante che sembrava frugare dentro il pensiero delle persone. E c’era in lui un’altra straordinaria qualità: una memoria formidabile, che gli consentiva di ricordare non solo i nomi degli alunni a distanza di anni, ma anche le loro caratteristiche umane e il loro rendimento scolastico. Tutto questo non era legato solo alla memoria, ma alla sua sincera e profonda partecipazione alla vita della scuola in tutti i suoi aspetti. Qualsiasi avvenimento legato alla vita personale di alunni o insegnanti era infatti da lui seguito con attenzione e anche con affetto.

Si interessava particolarmente degli alunni che avevano particolari difficoltà nel rendimento e faceva tutto il possibile per invogliarli allo studio e per sbloccarli nel caso di inibizioni o di problemi caratteriali. Aveva però un suo rigore interno e un profondo senso della giustizia, che gli faceva respingere, negli scrutini, qualsiasi ingiustificata indulgenza nei confronti di chi non aveva studiato per scarso impegno e per poca volontà.

In quegli anni, Composto scrisse un’opera dal titolo significativo, La scuola e l’uomo: la sua maniera di intendere la scuola era imprescindibile dall’azione formativa che questa deve avere per gli alunni, per aiutarli, appunto a diventare uomini.

Il ‘68 fu un anno difficile, non solo per le agitazioni degli studenti, ma anche per il terremoto, che portò alla chiusura delle scuole per lunghi periodi. Nel ‘69, alla ripresa delle agitazioni, Composto decise di lasciare la scuola. Si trattò di un autentico dramma, scaturito da un intenso travaglio interiore. Il suo rigore morale, il suo senso dell’ordine, il suo rifiuto di qualsiasi compromesso, la sua alta concezione della scuola e il suo amore per il corretto funzionamento della vita scolastica gli facevano respingere qualsiasi forma di demagogia e qualsiasi chiassosa contestazione, ai suoi occhi ingiustificata e immotivata. Non era affatto lontano, come si è visto, dai problemi dei giovani, anzi era estremamente sensibile a tutte le loro necessità, era aperto a tutte le innovazioni in campo didattico e culturale, ma non ammetteva quelle azioni che contrastavano con i valori in cui credeva.

Ecco dunque in che cosa si è rivelata quella che altri chiamavano rigidità e che non era, invece, che la coerente applicazione della sua lezione di vita: il dovere ad ogni costo, costi quel che costi. Troncare volontariamente una carriera in nome dei propri principi non è da tutti e rappresenta un raro e nobile esempio di coerenza e di onestà intellettuale.

Lasciata la scuola, Composto si rifugiò, come aveva già fatto in prigionia, nei suoi studi, trovando in questi, oltre che negli affetti familiari, conforto e appagamento.

Il ricordo che ha lasciato come uomo di scuola è dunque legato al suo profondissimo senso del dovere e della giustizia, alla sua figura di educatore dalla profonda umanità arricchita anche da un tratto sempre affabile e signorile, alla sua figura di studioso aperto al nuovo e sempre portato a quella formazione continua che è tipica della vera cultura.

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