Ci troviamo di fronte a un volume organico che, ricostruendo in maniera equilibrata la realtà di Corleone dal 1944 al 1968, ha cura dei molteplici aspetti, ognuno dei quali trova ospitalità in virtù dell’importanza e dell’incisività nel periodo storico esaminato. Grande merito dell’autore è certamente quello di descrivere fatti e personaggi con chiarezza di stile e con distacco di valutazione.
Egli, corleonese doc, testimonio degli avvenimenti raccontati, non si lascia coinvolgere in giudizi di parte o in considerazioni prive di fondamento. Storia - si sa - è ricerca ed elaborazione critica dei risultati conseguiti. Nonuccio Anselmo si attiene scrupolosamente a questa metodologia e dispone di un patrimonio di dati che, reperiti in archivi pubblici e privati, risultano preziosi ai fini della realizzazione del suo piano di lavoro.
L’autore, capo redattore del Giornale di Sicilia, coniugando felicemente il metodo giornalistico con quello storico, ricorre, attraverso interviste e dichiarazioni, anche alle fonti orali, ossia alla raccolta di gran parte di testimonianze sul passato, destinate, per lo più, a dileguarsi inesorabilmente nel tempo. Si tratta del recupero di dati dei quali oggi - dopo secoli di indifferenza e di trascurata o sospettosa considerazione - comincia ad essere particolarmente avida anche la storiografia accademica. Tanto è vero che è notevolmente aumentato il numero delle tesi di laurea basate sulla ricerca di testimonianze orali relative a eventi e protagonisti di storia contemporanea e, di conseguenza sono sorti gli archivi di fonti orali, in seno a Dipartimenti di Studi Storici per custodire il materiale cartaceo e le registrazioni in nastro o in dischetti.
Nonuccio Anselmo è, egli stesso, un’interessante e diretta fonte di questo terzo volume su Corleone Novecento (Corleone, Palladium Editrice, 2000, pp.236), sia perché il periodo in questione coincide in gran parte con gli anni della sua giovinezza trascorsa in paese - tanto che egli avverte il rischio che la commozione e la nostalgia per il tempo passato possano "appannare il giudizio" - sia perché le sue analisi trovano spontanei confronti e sicure verifiche attraverso quell’importante osservatorio che fu ed è il Giornale di Sicilia, dove egli svolge il suo lavoro quotidiano.
L’autore, in ogni modo, è consapevole di imbattersi, per la stesura di questo volume, in difficoltà non incontrate nell’elaborazione dei primi due volumi. "Mediamente, - Anselmo confessa nella premessa - questi anni non sono stati né migliori né peggiori dei precedenti e dei successivi. Anni belli e brutti. Belli perché sono quelli del miracolo economico in cui l’Italia diventa una nazione tra le più avanzate, perché comincia a girare nelle tasche qualche soldo in più, perché si alza il livello della qualità della vita, perché si costruisce la nuova Corleone ed il paese esce dall’isolamento del feudo per raggiungere il grado di evoluzione degli altri centri siciliani. Brutti perché viene di nuovo spenta nel sangue l’ansia di riscatto di migliaia di braccianti, perché un altro leader dei contadini viene trucidato, perché la mafia cambia pelle per farsi, se è possibile, sempre più sanguinaria mostrando già i primi sintomi della predisposizione allo stragismo, perché il paese comincia ad essere marchiato come capitale di Cosa nostra, perché migliaia di persone per sopravvivere debbono andar via da casa, perché la politica è sempre meno servizio e sempre più sopraffazione".
Nella comparazione tra gli anni belli e gli anni brutti e nel bilancio tra le cose buone e le cose perverse, avvenute in questa città nell’immediato dopoguerra, Anselmo, da attento e corretto osservatore, riesce a dare di Corleone un’immagine completa, sostanzialmente diversa, certamente più vera, sicuramente più autentica di quella conosciuta nel mondo. Egli - si badi bene - non ha fatto uso della bacchetta magica per annientare il male e il ricordo di esso. Ha semplicemente raccolto e descritto, con dovizia di documentazione, la gran quantità di bene esistito ed esistente a Corleone, senza con ciò mettere veli sui crimini e sui misfatti accaduti. Così dalle pagine di questo terzo volume di Corleone Novecento emerge una storia parallela a quella più funestamente nota, una storia di gran lunga più intensa e più interessante, fatta anche di beghe paesane e di crisi comunali, di lotte religiose e di radicati e inestirpabili ritualismi, di affermazioni collettive e di orgogli soffocati..., ma il tutto nel regolare svolgimento di una vita comunitaria civicamente condotta all’insegna della libertà e ormai aperta alla logica e al ritmo della democrazia.
Di tale storia parallela è stato ed è protagonista, nella varietà dei compiti privati e sociali di ognuno, il 99 per cento dei corleonesi. In essa si vede aleggiare lo spirito filantropico di Bernardino Verro attraverso l’operato di uomini come Vincenzo Schillaci, Luciano Rizzotto, Placido Rizzotto, Giovannino Di Carlo (il sarto), mastro Binnu Streva (il calzolaio, "il primo sindaco eletto del dopoguerra", p.27), e anche l’avvocato Lodato, Vincenzino Porrazzo, Totò Picone e tanti altri. E, in pari tempo, vi si coglie – ovviamente in contrasto con socialisti e comunisti – il genuino ideale delle forze di destra rappresentate da Vincenzo Mancuso e da Vincenzo ("Ciuzzo") Ciancimino in costante e alterno rapporto di odio e amore con le forze di rinnovamento della Democrazia Cristiana, quella non compromessa, seppure divisa in correnti, rappresentata da esponenti come Carmelo Pennino (sostenuto e favorito dall’amicizia di Salvatore Aldisio), Leonardo Liggio, Salvatore Castro, Giusto Catania (fondatori questi ultimi tre della "Pia Unione Braccianti"), Mario Mancuso, Bruno Ridulfo, Pino Giacopelli, Totò Mangano il quale, da giovane universitario in medicina - come posso testimoniare personalmente - ebbe un ruolo di primo piano presso il Comitato Civico Regionale della Sicilia e presso l’ORUP (l’Organismo rappresentativo universitario di Palermo). Sono certo che Nonuccio Anselmo nel quarto volume su Corleone Novecento non mancherà di mettere in luce il contributo all’associazionismo palermitano del giovane Mangano, che è anche tra i più attenti storiografi di Corleone.
Un posto prioritario – sia in questo come nei due precedenti volumi – occupa la Chiesa corleonese con l’Insigne Collegiata di San Martino al vertice di una comunità ecclesiale esuberante di giovani energie e feconda di iniziative religiose e sociali. Si deve a tale costante e incisiva missione – più che a una personale scelta dell’autore – se molte pagine del libro sono dedicate alla vita e alla vitalità della Chiesa locale. Anselmo, sempre con il suo apprezzabile distacco, vi coglie, ovviamente, luci e ombre. E, così, vengono fuori anche le forti – e pur innocenti e legittime – ambizioni di un clero che, con sofferenza, si vede ripetutamente escluso dalla prestigiosa carica di decano, ma che, con manifesta e dignitosa rassegnazione, si piega alla decisione della Curia arcivescovile di Monreale e finisce per accettare la guida pastorale di don Alonzo Bajada e, successivamente, quella di don Emanuele Catarinicchia: il primo, nativo di Carini, "un pretino giovane, magro e ossuto" (p.31); e l’altro, nativo di Partinico, "un omaccione grande e grosso – quasi per una sorta di legge del contrappasso – con una montagna di capelli nerissimi, una voce tonante ed un’altezza da cestista" (p.191). Insomma un "Homo longus", che, dalla cima della sua altezza, non si faceva scrupoli a esercitare i necessari controlli, non solo sulla vita religiosa del paese, ma anche su quella politica e, in particolare, sulle vivaci anime della D.C. locale.
Il giudizio di Anselmo sui due prelati è complessivamente positivo e scorge in essi l’impegno per la realizzazione di due rispettivi progetti, apparentemente distinti, ma sostanzialmente integrativi: don Alonzo Bajada, infatti, si prodigò per la "dignità della Chiesa" in un momento difficile di ricostruzione e di difesa, anche dagli attacchi degli evangelisti di Gaspare Grasso; mentre don Emanuele Catarinicchia puntò sulla "dignità dell’uomo" in una società contaminata dalla faida e ferita dai sospetti. La convergenza dei due progetti era evidente: don Bajada, attraverso la dignità della Chiesa, mirava a scoprire il valore dell’uomo, mentre don Catarinicchia, attraverso la dignità dell’uomo, si proponeva di diffondere e di applicare il magistero della Chiesa.
Anselmo, in ogni modo, sembra manifestare qualche perplessità sulla metodologia adottata da don Catarinicchia e ne parla come di "un’aggravante" asserendo che "il nuovo decano era uno molto sanguigno e questo l’avrebbe portato in rotta di collisione con tutti i poteri: quello politico, quello mafioso e perfino quello del colonnello dei carabinieri Milillo, che per fare terra bruciata attorno ai boss, "per mostrare i muscoli dello Stato, ordinava retate di centinaia di persone"".
A tal proposito don Catarinicchia, intervistato da Anselmo, ribadisce implicitamente di schierarsi per la "dignità dell’uomo" anche contro la "ragion di Stato" e racconta il seguente episodio: "alle mie proteste" contro le indiscriminate retate di centinaia di persone "un giorno Milillo mi venne a trovare per chiedermi chi volessi liberato. Risposi che non ci eravamo capiti, che doveva trattenerli tutti se a loro carico c’era qualcosa, o che doveva rilasciarli tutti se a loro carico non c’era nulla. Gran parte di quella gente fu poi rimessa in libertà" (p.192).
Pilastro morale e culturale della Chiesa e dell’intera comunità corleonese fu don Giovanni Colletto, insigne e indimenticabile figura di sacerdote, insegnante, oratore, soldato, autore nel 1936 di una Storia della città di Corleone in 34 capitoli e 444 fitte pagine che "anche oggi – secondo il giudizio di Anselmo – rimane la base di ogni ricerca storica su Corleone, essendo rimasta unica, forse anche perché qualsiasi riscrittura sarebbe comunque risultata per grandi parti un doppione" (pp.79-80).
Nella storia parallela alla più nota Corleone vanno, intanto, collocate le suggestive pagine scritte da Nonuccio Anselmo sul calcio locale degli anni ’50 e ’60, allorquando erano sufficienti una fornata di pane e un buon fiasco di vino per ottenere tifo, passione, qualche successo e... molte soddisfazioni; sul recupero del ricordo dell’eroe risorgimentale Francesco Bentivegna, la cui opera fu strettamente unita a quella dell’eroe cefaludese, Salvatore Spinuzza; sull’emigrazione nell’immediato dopoguerra dei cinquemila corleonesi, partiti, per lo più, con la valigia di cartone, verso il triangolo industriale e i paesi dell’Europa Centrale, e raggiunti nel 1968, a causa del terremoto, da un altro migliaio di compaesani; sulla vocazione musicale dei corleonesi, coltivata con la formazione di intraprendenti complessi orchestrali e di famose bande musicali sotto la direzione di maestri e compositori come Pietro Cipolla, Franco Rossitto, Franco Falco, Archimede Pennino; sulla "Corleone by night" o, come titola l’autore, Notti sotto le stelle, notti trascorse al "Circolo dei buoni amici" o all’Azione Cattolica o impegnate nella creazione di gruppi teatrali di matrice confessionale e laica, la cui attività, attraverso apposite tournées, sconfinava nei paesi vicini: erano anche i tempi delle prime serate di cinematografo, degli incontri al bar, della passeggiata di "quattro specie" (alle balate, all’albero, a Santa Lucia, a Santa Lucuzza), ridotte successivamente a due sottospecie (la passeggiata lunga e quella breve), e, poco dopo, sostituita dai più fortunati con il giro in automobile o in moto e... con qualche eccezionale parentesi di "dolce vita".
Corleone Novecento, oltre a offrirci, nel bene e nel male, la descrizione della vita di una comunità attiva e con una propria fisionomia, si presenta anche come un ricco "album di famiglia". E ciò a corredo e a tutto vantaggio del testo. La straordinaria serie di fotografie, molte delle quali appartengono all’archivio di Pietro Oliveri (don Pitrinu), contribuisce a dare all’opera di Nonuccio Anselmo una valenza storica di eccezionale portata, nel senso che le immagini, assieme alla parola scritta, aiuteranno le presenti e, soprattutto, le future generazioni a conservare la memoria storica delle proprie origini e ad essere gelose della propria identità.
Tali radici, ovviamente, non hanno alcunché da vedere con l’altra Corleone, quella più conosciuta e niente affatto "corleonese", su cui per necessità e per completezza di analisi Nonuccio Anselmo ha dovuto anche scrivere e ha scritto con senso critico, ma di cui io, per scelta, di proposito sottovalutandola, ho voluto tacere giacché essa non è rappresentativa dei corleonesi veri, dei corleonesi autentici