Il Parlamento europeo, la Commissione, il Consiglio…- così lontani eppur così presenti nella vita di tutti i giorni dei cittadini europei. Gran parte di questi ultimi conoscono le tre Istituzioni non per le loro attività, ma per lo "scandalo" che ha coinvolto l’Unione Europea un anno fa. Ma chi sono e cosa fanno gli "eurocrati"? Quale verità profonda e quali giochi sottili si nascondono dietro gli avvenimenti dell’anno scorso?
1. Il Parlamento, la Commissione, il Consiglio dell’Unione.
Oggi, il Parlamento europeo viene descritto come l’unica istituzione internazionale eletta a suffragio universale diretto, con poteri di controllo, che partecipa al procedimento legislativo dell’UE, tutela i diritti umani, collabora con i parlamenti nazionali. A differenza di questi ultimi, il Parlamento europeo, nato come semplice assemblea consultiva, si è guadagnato ogni sua prerogativa nel corso di una lunga battaglia, condotta contro una visione internazionalistica del processo comunitario e contro la paura degli Stati dell’Unione di perdere la propria sovranità. Durante questo lungo percorso, esso si è più volte scontrato ed incontrato con le altre Istituzioni europee, che, legate in misura maggiore agli Stati nazionali, ne hanno a volte ostacolato ed a volte stimolato la transizione verso una sua sempre maggiore democratizzazione.
Il Consiglio, dal canto suo, rappresenta la faccia intergovernativa dell’Unione, anche se l’influenza del Parlamento su di esso si è ampliata grazie all’aumento dei poteri di quest’ultimo in materia finanziaria e legislativa. Negli anni si è stabilita tra i due organi una sorta d’interazione(1) ed una significativa evoluzione in questo senso è avvenuta grazie all’applicazione della procedura di codecisione, implicante l’instaurazione di un dialogo tra le due "autorità legislative"(2). Il Consiglio non solo "legifera", ma fissa gli obiettivi politici dell’Unione e coordina le diverse politiche nazionali(3); tutti compiti che, in generale, sono più propri di un parlamento. È evidente, quindi, che, ad un livello più profondo, lo scontro tra il Parlamento, eletto direttamente, ed il Consiglio, rappresentante i governi, corrisponde allo scontro tra le due facce dell’UE, quella democratica e quella intergovernativa.
Anche la Commissione ha subito negli anni un processo di "democratizzazione", dovuto, in primo luogo, all’instaurazione di un rapporto di fiducia tra essa ed il Parlamento e, in secondo luogo, agli accresciuti poteri di controllo(4) che quest’ultimo detiene nei suoi confronti. Il rapporto che gradualmente si è instaurato tra le due istituzioni si avvicina sempre più a quello che, in tutti i sistemi democratici moderni, esiste tra l’organo esecutivo e l’organo legislativo, espressione della volontà popolare. Grazie alla sua indipendenza dagli Stati membri ed al ruolo affidatole dai trattati, la Commissione rappresenta da sempre il pivot del processo d’integrazione europea(5) e l’elemento di mediazione tra il Parlamento ed il Consiglio.
Nell’espletamento del suo ruolo, tuttavia, la Commissione trova delle limitazioni, che hanno contribuito in maniera più o meno determinante al suo indebolimento degli ultimi anni(6). D’altro canto, il recente trattato di Amsterdam ha rafforzato il ruolo del Presidente, che sceglie i membri della sua équipe e definisce gli orientamenti politici del collegio, il quale, godendo della fiducia tanto del Parlamento quanto di quella dei governi nazionali, vanta una "doppia legittimità". Questo ruolo rafforzato aumenta l’indipendenza dell’Istituzione e ne rafforza il ruolo di propulsore del processo d’integrazione. In tale ottica, una serie di riforme sono state intraprese già dalla Commissione Santer (1995-1999) e continuano ad evolvere sotto gli auspici dell’attuale Commissione Prodi.
2. Il Parlamento e la Commissione europea: un rapporto controverso
Gli scontri degli ultimi anni tra il Parlamento europeo e la Commissione si sono concentrati, soprattutto ma non in maniera esclusiva, su questioni budgetarie, campo in cui il Parlamento detiene ampi poteri(7). Mi sembra interessante sottolineare che solo un 5% del bilancio comunitario è destinato alle spese amministrative globali di tutte le Istituzioni europee(8). Contrariamente a quanto si crede comunemente(9), quindi, la Commissione, che deve svolgere innumerevoli compiti, tra i quali la gestione di un bilancio di 85,5 miliardi di euro e di un mercato unico di più di 450 milioni di abitanti, non dispone di un finanziamento amministrativo adeguato e, conseguentemente, di un personale abbastanza numeroso (un funzionario ogni 100.000 abitanti) per potere far fronte in maniera adeguata alle incombenze affidatele in primo luogo dai trattati e, in misura sempre maggiore, dal Consiglio.
Il controllo della corretta applicazione delle disposizioni del bilancio e la prevenzione delle frodi sono tra i compiti principali della Commissione di controllo del bilancio (COCOBU) del Parlamento, la quale procede ogni anno alla valutazione della gestione del bilancio UE da parte della Commissione, prima di approvarne i conti e di accordarle il discarico di responsabilità sulla base del rapporto annuale della Corte dei Conti(10). Nel marzo 1998, il rifiuto del Parlamento di concedere il discarico per l’esercizio del bilancio i media europei, che "la censura da mezzo virtuale era diventata realtà"(12). Evidentemente, oggi, il Parlamento svolge un ruolo più forte nell’ambito delle vicende comunitarie a scapito della Commissione, fenomeno al quale corrisponde, in campo nazionale, una tendenza opposta: il rafforzamento del ruolo degli esecutivi nazionali, cui corrisponde un indebolimento delle assemblee legislative. Più in generale, i parlamenti nazionali lasciano più spazio ai governi; questi ultimi creano un campo d’azione e di concertazione ad un livello superiore, quello europeo; in quest’ambito, essi, inizialmente forti, tendono a lasciare (volontariamente o spinti da processi ormai semi-autonomi) sempre più spazio all’Assemblea, che non può essere definita correttamente "legislativa", ma che sicuramente è rappresentativa di quella parte della struttura europea che sta emergendo con prepotenza: i cittadini.
Ad un’analisi più profonda, risulta evidente che la "voce" del "popolo" europeo è quella che "cresce" più velocemente di tutte le altre e che maggiormente ha diritto ad essere ascoltata. L’attuale assetto delle Istituzioni comunitarie e, più in generale, dell’UE non è al passo con tale tendenza e la sua struttura attuale scricchiola, per evolversi verso qualcos’altro. Ma, in definitiva, cosa s’intende per "qualcos’altro"? Un’unione federale? La creazione di una "Costituzione" europea che getti le basi di tale Federazione? La crisi istituzionale del marzo scorso ha aperto la strada ad un’evoluzione che potrebbe diventare involuzione se non si seguirà la strada indicata dal contesto socio-politico attuale: creare un’Unione forte, fondata su un sostegno della "base" altrettanto forte.
3. Il "fatto"
È interessante ripercorrere sotto l’aspetto del loro significato politico gli avvenimenti che hanno spinto la "crisi della décharge" ai suoi estremi.
Dopo l’affare ESB del 1997, altri episodi hanno contrapposto il Parlamento alla Commissione(13), ma, in occasione di ognuna di queste "mini-crisi", le due Istituzioni hanno saputo trovare un modus vivendi e farsi delle reciproche concessioni. La situazione cambia, però, nel marzo 1998, quando il Parlamento, in seguito ai rapporti del COCOBU e della Corte dei Conti(14), decide di non concedere la discarica per l’esercizio 1996(15) e di aggiornare la decisione al successivo mese di dicembre. Nel Rapporto Elles(16), il Parlamento critica la gestione del bilancio da parte della Commissione e le impone una data limite per adeguarsi alle richieste formulate nella relativa risoluzione. A questo stadio della vicenda, si è ancora di fronte ad un rapporto tecnico fortemente critico, elaborato nel quadro del regolare controllo dei criteri d’applicazione del bilancio.
Col successivo Rapporto Bösch(17), il Parlamento assume un tono più aggressivo, più "anti-Commissione"(18); in virtù dei poteri conferitigli dai trattati in materia di bilancio, esso richiede il rispetto da parte della Commissione "[…] del principio secondo cui il Parlamento deve essere in grado di controllare ogni singolo caso di frode del bilancio comunitario"(19). Evidentemente non siamo più di fronte ad una timida assemblea, ma ad un Parlamento nel pieno esercizio del suo potere di controllo(20). La Commissione, in un dossier elaborato dalla Direzione Generale Bilancio, risponde ribadendo quanto già sostenuto durante i lavori preparatori del trattato di Amsterdam: "[…] è paradossale addossare l’intera responsabilità dell’esecuzione del bilancio comunitario alla sola Commissione(21), considerato il fatto che i crediti (PAC, Fondi Strutturali, ecc.) sono gestiti anche dagli Stati Membri"(22).
Durante la sessione del COCOBU, il 10 dicembre 1998, la decisione favorevole al discarico relativo al 1996 viene votata(23). In seguito a tale "burrascosa" sessione e in previsione della plenaria per il voto sulla concessione del discarico, durante la riunione di Strasburgo, la Commissione adotta una dichiarazione, nella quale dichiara che se il discarico non è accordato, il "Parlamento deve procedere al voto sulla mozione di censura […] al fine di chiarire la situazione"(24). Il punto centrale della dichiarazione è, quindi, la richiesta di "fiducia", tale istituto, però, non è previsto dal trattato, che menziona, all’art. 144, solo il caso della mozione di censura(25). Nella dichiarazione della Commissione, un passaggio è particolarmente significativo riguardo al tipo di rapporto instauratosi tra questa ed il Parlamento, laddove la essa insiste "[…] sull’importanza cruciale di avere una Commissione sostenuta dal Parlamento [pertanto] credibile in vista delle negoziazioni sull’Agenda 2000"(26), "ritenendo essenziale, come ogni esecutivo nazionale, avere la fiducia del Parlamento"(27).
La portata di un’affermazione del genere è chiara: è un riconoscimento pieno del ruolo di controllo del Parlamento. Quest’ultimo, da parte sua, percepisce però la richiesta della Commissione come un "ricatto inammissibile all’esercizio del suo potere di controllo ". Da questo momento, si ha un’escalation, che troverà il suo culmine nel mese di marzo.
Il 17 dicembre 1998, il discarico è rifiutato dalla plenaria di Strasburgo(28) e l’iniziativa della Commissione di associare il voto sulla décharge alla mozione di censura è fortemente criticata(29). Il presidente del PSE, l’On. britannica Pauline Green(30), decide allora di depositare una mozione di censura (che il Gruppo Socialista non voterà), allo scopo di confermare la fiducia del Parlamento alla Commissione Santer(31). In occasione del voto del 17 dicembre, all’interno dell’assemblea emergono delle forti spaccature, sia al livello nazionale che all’interno dei gruppi parlamentari. Nella stessa seduta, il Parlamento adotta una risoluzione molto severa, proposta dal PSE, fissante un preciso calendario di riforme e istituente un Comitato di Esperti Indipendenti (ciò evita l’istituzione di una commissione d’inchiesta), incaricato di presentare entro il 15 marzo successivo un rapporto sui casi già in esame a proposito del discarico 1996. Conseguentemente, il presidente Santer s’impegna a seguire le direttive del Parlamento.
Il 15 marzo 1999, il c.d. "Comitato di Saggi" consegna al Parlamento un rapporto definito "devastatore", che spinge il Collegio dei commissari alle dimissioni, nella consapevolezza(32) che, in caso contrario, queste sarebbero state rese inevitabili da una mozione di censura (annunciata dallo stesso PSE, che, questa volta, non avrebbe appoggiato l’équipe Santer).
Secondo quanto sostenuto da fonti autorevoli, negli ambienti comunitari si è avuto la percezione che, nel corso di questi mesi, sia stato rimesso in gioco l’equilibrio di potere tra le Istituzioni e che il Parlamento eletto nel ’94 voleva usare il suo potere di censura già da tempo (crisi dei test nucleari francesi e dell’ESB). Secondo le stesse fonti, di per sé tale crisi è il segno della maggiore maturità e democraticità del Parlamento europeo, che s’impone sempre più come il reale "contro-potere" della Commissione europea.
4. Le "opinioni"
Le reazioni dei Commissari: Le reazioni dei Commissari sono state riportate sotto mille forme diverse (interviste, interventi televisivi, ecc.). Qui di seguito ho voluto riproporre una selezione delle dichiarazioni che ho ritenuto utili al fine di capire lo stato d’animo ed il pensiero di coloro che hanno creato "l’Europa della moneta unica", ma che saranno ricordati per "l’Europa degli affari".
Cominciando dal presidente dimissionario Santer, il tono delle dichiarazioni è molto amaro:
" È ingiusto che un bilancio di 4 anni di lavoro sia ridotto a 6 casi d’irregolarità, di cui 4 risalgono al periodo precedente il 1995"(33) E ancora: "Mi rammarico della poca attenzione rivolta alle riforme che abbiamo già avviato. Ma forse è una legge della storia il fatto che le crisi si manifestino, non quando le cose peggiorano, ma quando iniziano a migliorare"(34).
Anche l’ex commissario Karel Van Miert si domanda se sia giusto "giudicare sulla base di soli cinque casi quattro anni e mezzo di lavoro della Commissione"(35). Secondo de Silguy, il "problema maggiore è un problema di filosofia dell’Istituzione"(36), in quanto delle "difficoltà di gestione e di controllo sono emerse agli inizi degli anni ’90, quando il Consiglio ed il Parlamento hanno affidato alla Commissione una serie di competenze nuove, senza dotarla dei mezzi necessari per affrontarle. A meno di non limitare le sue funzioni a quelle d’origine (diritto d’iniziativa, protezione dei trattati, negoziazioni e rappresentazione esterna dell’Unione), essa avrà bisogno di 7/8 mila funzionari in più, per potere svolgere in maniera adeguata tutte le missioni affidatele"(37).
In ogni caso, a suo parere, "la democrazia europea ha segnato un punto"(38).
Emma Bonino, dal canto suo, precisa che "è giusto chiedere alle istituzioni europee di essere al di sopra di qualsiasi sospetto. Ma sarebbe giusto che tanto rigore fosse applicato sempre [facendo chiaro riferimento alle polemiche sulle spese degli eurodeputati](39)". L’altro commissario italiano, Mario Monti, critica il paradosso creato dal principio di collegialità, che ha "finito per mettere in crisi l’intero collegio", a causa di "fatti speci personale corrispondente alla metà di quello impiegato dalla BBC"(41).
… Le reazioni dei Parlamentari: In generale, il Parlamento ritiene, così come affermato nella Risoluzione indirizzata al Consiglio, che questa crisi istituzionale offra l’opportunità per sviluppare la dimensione politica e democratica dell’Unione, rafforzando la responsabilità della Commissione nei confronti del Parlamento e fornendo una nuova occasione per creare una Commissione forte, politicamente responsabile ed efficiente(42). Inoltre, afferma che la relazione "dei Saggi" costituisce un forte argomento a favore della responsabilità esecutiva individuale e critica l’atteggiamento del Consiglio, che, raccomandando il discarico per i bilanci 1996 e 1997 lo stesso giorno della pubblicazione del rapporto, non ha assunto le proprie responsabilità.
Passando all’esame delle singole dichiarazione rilasciate, il presidente dell’Istituzione, lo spagnolo José Maria Gil-Robles, in un’intervista rilasciata al quotidiano belga "Le Soir", insiste sul ruolo di controllo del Parlamento e sul fatto che "le relazioni tra Parlamento e Commissione devono basarsi sulla fiducia reciproca […], una volta che questa viene meno, bisogna tirarne le conclusioni e dimettersi"(43).
Secondo Fernand Herman, esponente del PPE(44), coloro che trarranno profitto dalla severità del Rapporto sono "coloro che vogliono uccidere l’Europa e il Consiglio, che si rinforza a detrimento delle altre Istituzioni europee"(45), anche se le dimissioni della Commissione provano che "i sistemi di controllo democratico hanno funzionato"(46). Anche il presidente del gruppo del PPE, Wilfried Martens, nell’evidenziare il ruolo svolto dal Parlamento nel controllo finanziario e nella lotta contro la frode, critica il "Consiglio, rimasto silenzioso"(47).
Olivier Dupuis, il deputato belga eletto in Italia nelle liste del partito radicale, sostiene che le dimissioni della Commissione segnano "una sconfitta delle istituzioni federaliste a favore del Consiglio". Non bisogna gioire della vittoria del Parlamento, in quanto esso
"esce rafforzato da questo braccio di ferro con la Commissione, ma si tratta di un braccio di ferro tra le due istituzioni più deboli, i motori delle riforme per una maggiore integrazione europea ed una maggiore democrazia"48. E ancora: "il Consiglio ha giocato con Santer come il gatto col topo, senza concedergli i mezzi per realizzare le sue politiche, e poi lasciandolo da solo. ciò non è corretto"(49).
Secondo Magda Alvoet, esponente del gruppo dei Verdi, "il Rapporto dei Saggi rafforza i rapporti [Bösch e Elles] del Parlamento, che aveva ben svolto il suo lavoro di controllo del bilancio, […] la crisi può essere salutare se le dovute riforme saranno adottate"(50).
Jo Leinen, presidente internazionale dell’Unione dei Federalisti Europei (UEF), ha affermato che "dopo l’euro, l’UE ha più che mai bisogno di un autentico governo europeo, dotato di mezzi sufficienti per assolvere alle proprie funzioni. Solo un processo costituzionale permetterà di superare definitivamente la crisi e spetta al Parlamento prendere quest’iniziativa"(51).
Il gruppo del PSE, che nel gennaio aveva "salvato" l’équipe Santer dalla mozione di censura, si dichiara soddisfatto del lavoro del Comitato e della reazione della Commissione:
"Il nostro gruppo aveva preferito non votare la mozione dello scorso gennaio, in quanto non disponeva ancora di un simile rapporto […]. Inoltre, allora il dibattito era soprattutto uno scontro tra paesi e partiti politici. […] Adesso è necessaria una presa di posizione chiara del Consiglio, il quale aveva rifiutato di fornire ala Commissione i mezzi che le erano necessari [e il Parlamento allora?]. La caduta della Commissione proviene dalla volontà del Parlamento. È il PSE che ha messo fine all’esistenza della Commissione, lunedì sera, quando ha annunciato che avrebbe votato la mozione di censura"(52).
Per concludere, vorrei citare il commento, fatto subito dopo l’annuncio delle dimissioni della Commissione, dal suo attuale presidente, Romano Prodi: "La crisi di Santer è un’occasione di crescita per la Commissione, un passaggio drammatico ma necessario verso un "governo europeo", dotato di poteri effettivi e non succube delle cancellerie"(53).
… Le reazioni dei Governi: In linea generale, le dimissioni della Commissione sono state bene accolte dalla maggioranza dei governi europei. Tra coloro che hanno espresso "viva preoccupazione", c’è il Presidente del Consiglio italiano Massimo d’Alema, seguito dal ministro finlandese Ole Norrback, preoccupato, soprattutto, in vista della Presidenza finlandese dell’Unione (giugno-dicembre 1999). Tra le reazioni dei Capi di Stato e di Governo più significative dal punto di vista del peso politico dei rispettivi paesi, vi sono quelle del Regno Unito, della Francia e della Germania. All’annuncio delle dimissioni della Commissione europea, il Primo Ministro britannico Tony Blair ha reagito rilanciando il tema delle riforme: "si tratta di un’opportunità per aprire il dibattito per delle riforme radicali dell’Unione e della Commissione"(54).
Anche il suo omologo francese, Lionel Jospin, considera che "le dimissioni della Commissione devono servire da punto di partenza per una maggiore trasparenza e democrazia"(55). Dichiarazione completata dal Presidente francese, Jacques Chirac: "I Capi di Stato e di Governo dell’UE devono trarre una lezione da questa crisi senza precedenti"(56).
Anche secondo il cancelliere tedesco Gerhard Schröder, "ogni crisi costituisce una chance"(57), posizione condivisa dalla classe politica tedesca.
Dichiaratamente positivo è il Ministro degli Affari Esteri belga, Erick Derycke: "È una vittoria per la democrazia e le Istituzioni europee. Il Parlamento europeo esce rafforzato da questa crisi e in futuro ci sarà una concertazione maggiore tra le due Istituzioni"(58).
L’impressione generale è che ognuno tenti di portare l’acqua al proprio mulino: il Parlamento snocciola inni alla democrazia e lodi per il suo operato (fatta eccezione per le posizioni che abbiamo visto); la Commissione sfodera argomenti di difesa e di giustificazione; i Capi di Stato e di Governo dimostrano di avere sempre "la buona parola al buon momento", ma non hanno ancora dimostrato di intraprendere "l’azione giusta al momento giusto"!
5. La prima "crisi istituzionale" dell’UE e la stampa
Il primo criterio usato per la scelta delle testate giornalistiche è di natura geografica: sono stati presi in considerazione i paesi dell’Unione sedi delle Istituzioni europee; il caso del Regno Unito è un po’ a parte, in quanto rappresenta (insieme alla stampa danese ed a quella svedese) quanto di più "euroscettico" esista all’interno dell’Europa stessa. Il secondo è un criterio di tipo ideologico: all’interno di ogni paese-campione, sono state selezionate delle testate con tendenze politiche diverse.
6. La stampa nazionale
In campo nazionale, i quotidiani presi in considerazione sono il Corriere della Sera on line, La Repubblica on line, Il Giornale ed il Secolo d’Italia.
Il "Corriere della sera" tratta della crisi europea nella rubrica "In primo piano" o, a volte, in quella degli "Esteri" (!). Parlando di "governo" comunitario e di "ministri"(59), mette spesso in evidenza il fatto che il Comitato d’Esperti Indipendenti sia stato nominato dal Parlamento europeo(60), dimenticando di menzionare il fatto che la sua costituzione è stata anche volontà della Commissione, che ne ha sostenuto i costi al 50%. L’attenzione maggiore viene concentrata sul dopo-crisi, cioè sui dibattiti e sulle vicende relative alla nomina del nuovo presidente ed al "gioco delle alleanze" tra gli Stati Membri. Dalla lettura dei vari articoli, emergono qua e là delle frasi significative, come:
"La crisi di Bruxelles ha fatto riesplodere un’antica rivalità tra le due principali Istituzioni europee, quella esecutiva e quella legislativa […], si ripropone il vecchio dualismo tra il "governo" dell’UE, non eletto e da molti criticato perché poco rappresentativo, e l’assemblea parlamentare, che per definizione simboleggia la voce dell’elettorato e la base popolare"(61).
Ivo Caizzi, dal canto suo, parla della "più grande crisi d i, resta una "partita da giocare al livello dei governi". Nel successivo articolo "La spinta di Blair"(65), l’autore annuncia la nomina di Romano Prodi alla presidenza della Commissione e mette bene in evidenza cosa ciò comporti, in termini di "vantaggi", per gli altri governi:
"[…] Schröder incassa un successo internazionale di cui aveva disperatamente bisogno. […] Blair, il grande elettore di Prodi, riconquista una centralità che aveva perso con l’autoesclusione dalla moneta unica. D’Alema porta […] l’Italia al tavolo dei grandi Paesi europei"(66), Aggiungendo che: "La designazione di Prodi […]è il risultato di un cambiamento profondo degli equilibri europei maturato con l’unificazione monetaria. […] Il presidente designato si vedrà affidare […] il compito d’impostare e gestire quelle riforme istituzionali, di cui l’Unione ha disperatamente bisogno per adeguare i propri meccanismi alla sua nuova dimensione politica"(67).
Credo che tale paragrafo concentri in poche linee l’idea più importante da trasmettere agli "Europei": questa crisi ha portato l’Unione ad una svolta fondamentale, che avvicina ancora di più l’Europa delle Istituzioni all’Europa dei cittadini.
Concludendo, vorrei mettere in evidenza il fatto che spesso gli articoli del Corriere della Sera contengono delle spiegazioni di carattere giuridico-istituzionale, che permettono al grande pubblico non specializzato di avere una visione d’insieme meno superficiale. Penso che ciò sia uno dei modi migliori di presentare "la crisi" ai lettori, non riducendola unicamente alla descrizione dei suoi "dettagli piccanti".
Già in un articolo del 3 gennaio 1999(68) La Repubblica non aveva risparmiato dure critiche all’équipe Santer; gli avvenimenti le hanno dato ragione. Rampini, che parla di "prima crisi del governo federale dell’Europa della moneta unica"(69), a differenza di altri suoi colleghi italiani e non, menziona argomenti pro e contro la Commissione. In maniera molto pragmatica, egli vede la crisi, anzitutto, come il risultato di uno "scontro di culture nazionali", in quanto"a sollevare lo scandalo sono stati europarlamentari e mass-media di paesi come la Gran Bretagna, la Germania e gli scandinavi, abituati a pretendere regole di trasparenza e di etica politica molto elevate. I singoli episodi possono apparire, invece, come peccati veniali rispetto alla Tangentopoli italiana o a casi di corruzione politica emersi in Francia o in Spagna"(70).
Ammiro la franchezza dell’autore, ma non posso impedirmi di appuntarlo negativamente per la sua osservazione. Il fatto che ciò che è successo alla Commissione non sia "all’altezza" degli scandali nazionali dei paesi del Sud Europa, non deve farci tirare un sospiro di sollievo, ma aprire gli occhi in tempo, perché sia la cultura della trasparenza e della correttezza, tipica delle democrazie nordeuropee, a prevalere all’interno delle Istituzioni europee, create per unire soprattutto ciò che di positivo esiste in ogni Paese Membro(71).
In secondo luogo, Rampini menziona una componente anti-europea:"Vi è poi nell’offensiva moralizzatrice una componente anti-europea, soprattutto da parte degli inglesi e – questa è stata la novità politica del 1998 – dei tedeschi […]. Non a caso lo scandalo dei fondi UE ha preso ampiezza […] in una fase in cui tutte le forze politiche tedesche gareggiavano nel pretendere una riduzione dei contributi della Germania all’Unione"(72).
Ancora una volta, non sono d’accordo con l’autore, nella misura in cui la sua affermazione sul "tempismo" dello scandalo non corrisponde ai fatti, così come confermato anche dall’intervista fatta a François Genisson, alto funzionario della Commissione. Gli "scandali" sono emersi poco a poco, parallelamente all’esame da parte del Parlamento degli esercizi di bilancio 1996 e 1997 ed alle inchieste condotte autonomamente da alcune testate giornalistiche. Una serie di avvenimenti, che si sono incrociati(73) e che, in parte, sono stati accelerati dall’imminenza delle elezioni europee, ha portato la crisi al suo culmine nel marzo 1999. Inoltre, non bisogna dimenticare che le dimissioni della Commissione hanno messo in difficoltà lo stesso governo tedesco, che, occupando la presidenza di turno del Consiglio, si è ritrovato nella necessità di dovere trovare una soluzione alla crisi, in un momento reso già delicato dai malumori interni e dalla negoziazione dell’Agenda 2000(74).
Il punto sul quale sono assolutamente d’accordo col Rampini è il seguente:
"La messa sotto accusa della Commissione è anche il frutto di un’evoluzione istituzionale di grande portata: con il trattato di Amsterdam sono aumentati i poteri dell’Europarlamento, e i rappresentanti eletti intendono appropriarsi pienamente del nuovo ruolo […]. Lo scontro con Santer è diventato il banco di prova per la crescita di un potere legislativo su scala continentale, guardiano e controllore dell’esecutivo di Bruxelles"(75).
Anche La Repubblica dedica, a ragione, un articolo al "Grande mercato sul governo UE"(76), mettendo in evidenza, ancora una volta, i delicati equilibri cui deve sottostare l’evoluzione del sistema europeo. Nell’articolo di Antonio Polito "Il patto Blair-Schröder per riformare l’Unione"(77), riportando il pensiero del premier inglese Tony Blair, si parla addirittura di "contratto": "Il futuro presidente deve firmare un nuovo contratto con i governi […]. Questo è il momento di decidere se vogliamo lasciare l’Europa com’è o avviare la riforma che può assicurarle il rispetto dei popoli"(78). Considerando l’attuale tendenza generalizzata di sfiducia verso il politico, non credo che una "Europa" che firmi un "contratto" con i governi nazionali, possa trovare, vedi meritare, il "rispetto dei popoli"!
Ancora un articolo che parla della "irruzione della democrazia dentro la burocrazia dell’Unione" è quello di Ezio Mauro, "Sinistra ultima occasione"(79): "Ciò che sta accadendo può [consegnare] finalmente un’anima ad una costruzione monetaria con confini geografici, ma senza guida politica […]. Si afferma finalmente il controllo del Parlamento. Entra in gioco la moralità politica dei commissari e non soltanto il loro virtuosismo "tecnico". Attraverso questa strada ci si affaccia sul problema del "consenso", che può trasformare gli eurocratici della Commissione in veri e propri ministri di un governo dell’Europa"(80).
A differenza del Corriere della sera, quindi, Repubblica non parla ancora di "ministri", ma vede nella crisi la possibilità di una svolta, perché si possa veramente parlare di "governo europeo".
Per concludere con la stampa nazionale, mi sembra doveroso esporre anche le reazioni di alcuni quotidiani vicini alla destra italiana.
Su Il Giornale, Federico Fubini scrive: "Frodi alla UE, colpevole la Commissione"; segue un articolo durissimo sul "governo" europeo, nel quale il giornalista non perde l’occasione di mettere in rilievo le colpe "del socialista spagnolo [Marin] e dell’ex premier della sinistra mitterandiana francese [Cresson]"(81). Il Rapporto dei Saggi viene presentato come una "requisitoria [mettente] in causa molte parti della catena di comando dell’esecutivo UE" e l’istituzione del Comitato d’Esperti Indipendenti come "la contropartita ad un risicato voto di fiducia alla Commissione", "una pezza, messa dal presidente del "governo" UE, ai danni creati dalle accuse contro i commissari Marin e Cressson"(82).
Di contro, Fubini sottolinea a più riprese "l’assoluzione" dei commissari italiani, sostenendo che:
"Questo giudizio metterà a tacere la stampa svedese e danese, che ha tambureggiato sulle "colpe" della triade mediterranea Cresson-Bonino-Marin […]. Crollano tutti i teoremi sul Nord calvinista e rigoroso e sul Sud arruffone […]. Dal Rapporto esce male la commissaria svedese Gradin […] e "al limite della correttezza" […] la commissaria tedesca Wulf-Mathies"(83).
Ancora più duro è Marcello Foa, quando definisce l’incarico dei "Saggi" "una manovra dilatoria per soffocare dolcemente uno scandalo imbarazzante"(84), aggiungendo che:
"L’Unione Europea era abituata a impartire lezioni a tutti: ai governi nazionali sulle politiche di bilancio, alle grandi aziende in tema di antitrust e di concorrenza sleale, agli agricoltori sulle quote latte. Può continuare a farlo? La risposta è, ovviamente, no"(85).
Ho come l’impressione di percepire una certa nota di nostalgia nazionalista in queste parole!?
Per concludere questa "escursione" nel mondo de Il Giornale, vorrei citare l’articolo di Gianni Pennacchi, "Quello che Bruxelles bolla come scandalo in Italia è un vizio"(86), in quanto, leggendo quest’articolo, si potrebbe pensare che il suo autore non abbia letto il numero di appena due giorni prima, contenente gli articoli di Fubini e Foa, di cui abbiamo appena parlato. Nell’articolo di Pennacchi leggiamo:
"Avevate mai visto cadere un governo perché una ministra […] aveva dato una consulenza pur ricca al suo dentista? […] Tutti a casa per queste colpe. Ma nell’Europa virtuale di Bruxelles, mica a Roma. Dove il tasso di moralismo è decisamente al di sotto degli standard europei […]. Guarda tu se pensa a dimettersi [un governo] per la sfilza di nomine e prebende distribuite a piene mani a Palazzo Chigi, da ogni ministro con por cere" all’immagine degli "avversari". In conclusione, mi chiedo se, nel caso del quotidiano in questione, quella sulla crisi europea sia un’analisi del fenomeno "europeo", o semplicemente un’analisi indiretta della propria situazione politica interna.
Stessa reazione, anche se ad un livello più marcatamente ideologico, è quella del Secolo d’Italia, che, sul numero del 16 marzo 1999, titola: "L’Europa rossa nella bufera degli scandali. La Commissaria Cresson, socialista e amica di Mitterand, si è resa responsabile di gravi abusi"(88).
E tutto l’articolo si limita ad una cronistoria denigrante dell’ex commissario francese. Sulla stessa lunghezza d’onda (polemica interna col governo di centrosinsitra e con la Sinistra, in generale) sono anche gli altri articoli dedicati alla soit-disant, "crisi europea".
7. La stampa estera ed "europea"
In campo internazionale, i paesi-campioni scelti sono la Francia ed il Belgio, sedi delle Istituzioni europee, oltre ad alcune "capatine" giornalistiche in altri Stai membri e, vivendo in una dimensione che va al di là degli Stati nazionali, in "Europa", per una visione sovranazionale, slegata da qualsiasi influenza campanilistica o strettamente politica.
A differenza dei quotidiani italiani, Le Monde (F) si è occupato delle diatribe tra il Parlamento e la Commissione ancor prima che la crisi arrivasse al suo culmine. Già la denuncia degli "affari" da parte di alcuni quotidiani belgi, come La Lanterne, riguardanti, soprattutto, il commissario francese Edith Cresson, aveva attirato l’attenzione della stampa francese sull’argomento.
Un particolare, che subito colpisce l’attenzione del lettore è la ripetuta contrapposizione, sia nei titoli che nei testi, tra "la Commissione di Bruxelles" ed "il Parlamento di Strasburgo"; una contrapposizione, in primo luogo, geografica e, solo secondariamente, istituzionale, che si riscontra unicamente nella stampa francese. Credo che, volontariamente o meno, questo sia il modo per sottolineare il sentimento di "distanza" e diffidenza che i francesi nutrono verso una Commissione lontana, sia perché localizzata all’esterno del territorio nazionale sia perché considerata "oscura". Non a caso, Alain Frachon scrive:"Longtemps, ces mystérieux hybrides, à la fois gouvernant et légiférant, que sont les membres de la Commission, échappèrent à tout contrôle autre que ceux […] que leur impose l’institution elle-même. C’est fini. Le Parlement européen veut y regarder de plus près"(89).
Il bimensile L’Expansion aggiunge che "La Commission a pris de très haut les récriminations du Parlement, comme si elle pouvait travailler en toute impunité […]. Arrogance est le terme le plus souvent retenu par les observateurs à propos des commissaires"(90).
Di contro, il Parlamento, la cui sede principale si trova a Strasburgo, è sentito più vicino, più "reale" dall’opinione pubblica francese.
A proposito delle dimissioni della Commissione, secondo Henri de Bresson, Jacques Santer, che "presentava fin dall’inizio tutti gli handicap", era un "candidato di seconda scelta"(91):"Santer cumulait dès le départ tous les handicaps. Il succédait à Delors au sommet de sa popularité, qui avait su faire de la Commission un véritable moteur d’intégration… dans une Europe […] qui, en janvier 1995, lorsque Santer prend ses fonctions, vient d’intégrer trois nouveaux candidats, ce qui compliquent singulièrement le fonctionnement des institutions […]. Dès le départ, ce candidat de deuxième choix s’est heurté à la volonté du Parlement de faire valoir face au Conseil et à la Commission [ses] nouveaux pouvoirs. [Il avait] à se prononcer pour la première fois par un vote de confiance sur le choix présenté par les gouvernements. […] Une grande partie de la gauche refusant de donner un blanc-seing à un candidat qui […] ne possédait pas le charisme de son prédécesseur et surtout devait son choix…au premier ministre conservateur britannique"(92).
Lontano al volere giustificare la caduta della squadra di Santer, de Bresson cerca le cause profonde dei problemi che hanno condotto non tanto alla "crisi", quanto al fatto che sia stata proprio "questa" Commissione e non quella di Delors, sotto la quale i problemi di cattiva gestione e frode sono cominciati, ad essere "silurata" dall’Europarlamento. Penso che la sua analisi sia corretta, ma vorrei aggiungervi un altro elemento non trascurabile: la maggiore consapevolezza del proprio ruolo e l’accresciuta sicurezza di sé del Parlamento europeo.
Ci sono, infine, quattro articoli che vorrei citare. I primi due riguardano il ruolo del Parlamento europeo dopo la crisi; il secondo la creazione di un’opinione pubblica europea ed il terzo manifesta le paure che il dopo-crisi suscita nell’opinione pubblica francese e, credo, in quella europea in generale.
Marcel Scotto dà una nuova immagine del Parlamento europeo, descrivendolo come il "vincitore incontestabile [della crisi], che ha saputo dare di sé l’immagine della sola Istituzione dell’Unione capace di mettersi al servizio dei cittadini"(93). A suo parere:"Non c’è nessun dubbio che si sia verificato un riequilibrio istituzionale a svantaggio della Commissione ed a beneficio del Parlamento. […] Il Parlamento ha sensibilmente migliorato la sua immagine nell’opinione pubblica europea. Giustificato o no, il suo aumento di popolarità è reale e nessuno lo può ignorare"(94).
A tale conclusione, avrei solo una domanda da opporre: se il Parlamento ha talmente guadagnato nei "cuori" dell’opinione pubblica europea, come si spiega la scarsissima affluenza alle urne durante le ultime elezioni europee?
Yves Mamou, dal canto suo, vede nella caduta della Commissione la "fine di un’era della costruzione europea: quella dell’Europa tecnocratica"(95). Egli riconosce ai tecnocrati il merito di avere compiuto, nel corso degli ultimi trent’anni, un lavoro considerevole(96), ma considera l’era di "questo motore a due tempi – Commissione e governi nazionali – arrivata al capolinea"(97), in quanto vi è "all’interno delle Istituzioni comunitarie, un aumento in potenza del politico". Così il Parlamento assume un nuovo ruolo e "l’Europa non si costruirà più a due, ma a tre: Commissione, Consiglio e Parlamento"(98). Infine, conclude richiamando l’attenzione dei governanti sul fatto che, questa volta, le necessarie riforme dovranno essere fatte tenendo in conto anche il Parlamento europeo.
L’emersione di uno spazio pubblico europeo è quanto vede Daniel Vernet nelle dimissioni di Oskar Lafontaine, da ministro delle finanze in Germania, ed in quelle della Commissione europea a Bruxelles. A suo parere, le dimissioni della Commissione, pur non essendo questa un vero esecutivo, simbolicamente"hanno una forte somiglianza con una crisi di governo provocata dagli eletti dei popoli europei. Questa prima crisi nella storia dell’integrazione europea, non significa che l’Unione sia diventata, da un giorno all’altro, un’Istituzione democratica, essa è solamente all’inizio di un lungo cammino"(99).
In conclusione, egli vede nelle dimissioni della Commissione Santer "un invito pressante a superare il solito "bricolage" per aprire un vero cantiere costituzionale"(100).
Nell’ultimo articolo di Patrick Jarreau, ritroviamo quella che è "la paura" del dopo-crisi:"L’intrecciarsi degli interessi nazionali difesi dai governi, la volontà di questi ultimi di conservare il controllo del processo comunitario possono condurre a rendere nuovamente incomprensibile il macchinario "bruxello-strasbourgeoise", diventato momentaneamente "leggibile". L’ipotesi di una democrazia europea, che sta nascendo, si rivelerebbe allora solamente un miraggio"(101).
Già in una serie di articoli di giugno 1996, giugno e dicembre 1997, luglio e ottobre 1998, Le Monde Diplomatique (F) era stato molto duro nei confronti della Commissione europea.
Anne-Cécile Robert nel suo articolo "Démission de la Commission", mette in rilievo due punti fondamentali: in primo luogo, "l’inadeguatezza di un sistema concepito 50’anni fa per un’Europa a Sei" ad adattarsi ad un’Europa a Quindici, e, secondariamente, "l’esistenza, all’interno dell’Unione, di un meccanismo di controllo e di responsabilità"(102). Secondo la Robert, il sistema is direttamente eletta dai cittadini", non propone né adotta "le leggi europee". Un meritato rimprovero viene diretto anche agli "autori" del trattato di Amsterdam. Quest’ultimo avrebbe dovuto trovare una soluzione a questa situazione paradossale e, invece, nessuna riforma significativa, che risolva il problema del gap democratico dell’Unione, è stata prevista: "per una vera riforma, sarebbe stato necessario riconoscere che qualsiasi democratizzazione dell’UE necessita la restituzione del potere ai cittadini"(104).
Altre reazioni della stampa francese - Nell’editoriale di Alain Peyrefitte, apparso sul quotidiano Le Figaro, notoriamente più vicino alle posizioni del mondo politico di destra(105), si legge: "L’Europa aveva bisogno di questa lezione di morale pubblica […]. Alcuni troveranno in questa crisi la prova che l’edificio di Bruxelles è marcio all’interno […]"(106).
Anche France-Soir auspica una "profonda riforma della Commissione"(107) e critica aspramente Edith Cresson.
Sul quotidiano comunista L’Humanité, secondo il quale "questa crisi apre un periodo di incertezze", vengono riportate le "soluzioni" auspicate dal segretario nazionale del PC francese, Robert Hue: "Non c’è altra soluzione se non la democratizzazione di un’Europa resa ai cittadini"(108).
Sempre dal punto di vista della sinistra francese, Libération:"Tutti i partigiani della costruzione democratica dell’Europa dovrebbero festeggiare il 13 marzo 1999 come una data storica […]. Nel 1999, l’Europa ha partorito una moneta federale ed è entrata nell’era parlamentare. […] In Francia, nessuno deve dimenticare che l’Eliseo e Matignon hanno sostenuto Edith Cresson. Per una volta la saggezza democratica arriva da Bruxelles e da Strasburgo, che lezione!"(109).
In campo belga, ho scelto uno dei quotidiani più venduti sul territorio nazionale, Le Soir. Ecco come Guy Duplat annuncia la notizia delle dimissioni dell’équipe Santer:"Le rapport des "Sages" rendait impérieux une réaction très forte de la Commission […]. La forme qu’a prise cette "juste" réaction était la seule imaginable dès hier soir: la démission de la Commission toute entière, accusée globalement d’avoir perdu le contrôle de son administration et d’être ainsi politiquement responsable des erreurs commises"(110).
Secondo Duplat, la Commissione soffre di un deficit democratico, e, quindi, di una mancanza di legittimità, che può essere controbilanciato solo da una condotta irreprensibile dell’Istituzione. Egli rimprovera, inoltre, alla Commissione di non avere accettato il dialogo col Parlamento.
Dal canto suo, l’inviato europeo André Riche ritiene responsabili della crisi gli stessi governi nazionali, che, sei anni fa, hanno nominato un collegio debole, perché fosse facilmente controllabile. Dietro a questa grave crisi, egli individua una duplice evoluzione: da un alto, il degrado interno dell’Istituzione, già in atto sotto la presidenza Delors, e, dall’altro, l’aumento del potere del Parlamento europeo, che, durante il corso dell’ultima legislatura (1994-1999), ha, a suo parere, guadagnato autorità e maturità. In conclusione, egli ritiene che la democratizzazione delle Istituzioni europee avanza e che la critica costruttiva della Corte dei Conti e della stampa ne ha favorito l’evoluzione. Nel parlare di "première crise gouvernamentale"(111), Riche sostiene che: "Nel rapporto di forza con il Parlamento europeo, una soglia è stata superata. A partire dagli anni ’80, i poteri del Parlamento si sono accresciuti in seguito ad ogni revisione dei trattati, mentre quelli della Commissione tendono a stagnare, o addirittura a regredire […]. I deputati possono difficilmente guadagnare poteri supplementari sui governi, con i quali si dividono la procedura di codecisione in molte materie. Di contro, essi accrescono sempre di più la loro influenza sulla Commissione, soprattutto se essa è debole"(112).
Nella stampa britannica si possono distinguere due aree: una maggioritaria, raggruppante gli "euroscettici"(113), ed una filoblairiana(114), a favore di una "riforma forte" delle Istituzioni europee. È il quotidiano eurofobo del gruppo Murdoch, The Sun, a criticare più duramente i commissari dimissionari, sostenendo che"I poteri dei commissari europei sono più importanti di quelli di un ministro di Sua Maestà ed i loro vantaggi più impressionanti di quelli di un dittatore africano […]. È necessaria una riforma che porti delle teste nuove e delle nuove idee".
The Times, oltre a definire i "commissari nominati dai governi" dei "servili arroganti, di secondo ordine", mette in guardia contro "una purga che lascerebbe le cose come prima".
Il Daily Express, testata di destra, conosciuta anche per avere condotto le proprie inchieste sugli interessi finanziari non dichiarati di alcuni MEP britannici, coglie l’occasione per attaccare anche il Parlamento europeo, accusato di sperperare il denaro dei contribuenti. Sulla stessa lunghezza d’onda è il Daily-Mail, che definisce le Istituzioni europee "un’oasi di tangenti e corruzioni", ricordando che "i parlamentari europei sono tristemente famosi per le loro note spese".
Ancora un euroscettico, che attacca le Istituzioni UE, è il Daily Telegraph, il quale insorge contro qualsiasi riforma che possa aumentare i poteri dell’esecutivo europeo, aggiungendo che questa crisi "dovrebbe far capire che sarebbe una follia sacrificare la sterlina all’euro".
Infine, The Independent sostiene che è arrivata l’ora di "ripulire le scuderie europee. Lasciare che la Commissione dimissionaria resti in carica per il disbrigo dell’ordinaria amministrazione significherebbe il sicuro fallimento della prossima tappa del processo d’integrazione".
In campo "europeo" esistono numerose pubblicazioni(115), tra le quali Europolitique e Agence Europe, alle quali farò riferimento.
Il bisettimanale Europolitique si concentra, soprattutto, su questioni di carattere istituzionale e politico, evitando di riportare "scandali" e "polemiche". Qui di seguito sono riportati alcuni estratti, che mettono in luce dei punti chiave della vicenda. A proposito della "tradizionale alleanza" tra il Parlamento e la Commissione si legge:"Lasciare "giudicare" le proprie pratiche amministrative da un gruppo d’esperti indipendenti [è] una procedura inusuale, denotante una certa esitazione del Parlamento ad attaccare direttamente la Commissione e mettere in difficoltà l‘alleanza, che, da anni, li unisce nell’opposizione al Consiglio"(116).
Interessante quanto si afferma a proposito del ruolo giocato dagli Stati Membri:"Gli Stati Membri si sono bruciati le dita al loro stesso gioco. Essi avevano voluto una Commissione e un Presidente deboli, senza troppo peso politico, per evitare eventuali iniziative "inopportune". Il gioco è andato male ed è su di essi che adesso incombe il compito di ricomporre una nuova Commissione, i cui membri abbiano il peso politico necessario per fare funzionare gli ingranaggi"(117).
Il quotidiano Agence Europe, nel n°7425 del 16/03/1999, si limita a dare l’annuncio della consegna ai presidenti della Commissione e del Parlamento del Rapporto dei Saggi. Sul numero del giorno successivo, pubblica per intero i diversi comunicati del collegio, senza aggiungere alcun commento. È solo sul n°7428 del 19/03/1999 che la redazione dedica ampio spazio alla crisi, prendendo posizione in merito:"Le dimissioni della Commissione non hanno occupato la totalità del nostro bollettino […]. La crisi istituzionale rappresenta un avvenimento rilevante nella storia dell’Unione; ma vari altri avvenimenti europei meritano un posto. Agence Europe non parteciperà mai all’azione di disinformazione che ha portato una parte dell’opinione pubblica a considerare che la costruzione europea è solo un’operazione sordida di frodi, sprechi e irresponsabilità"(118).
Anche Agence Europe, senza giri di parole, sostiene che "diversi capi di governo hanno "mollato" la Commissione Santer, ritenendo che, dal punto di vista politico, fosse "defunta" e che occorresse sbarazzarsene rapidamente"(119).
In conclusione, i quotidiani italiani, con tendenze più di sinistra e più europeiste, si sono concentrati, soprattutto, sulle vicende relative alla nomina del successore di Santer, dando meno risalto a ciò che ha preceduto, accompagnato e seguito lo "scontro culminante" tra il Parlamento e la Commissione. Al contrario, la stampa francofona, più sensibile alle vicende del "Parlamento di Strasburgo" e più "interessata" ai fatti, a causa delle polemiche di cui è stato oggetto il commissario francese, si è largamente occupata dei retroscena della vicenda, dei rapporti tra le due Istituzioni e delle reazioni delle varie correnti d’opinione europee.
Sia in Italia che all’estero, comunque, la gravità della crisi è stata percepita da tutti gli esponenti della stampa, a prescindere dalle loro tendenze personali. Alcuni hanno voluto vedere nelle dimissioni della Commissione il segno supremo della decadenza del progetto europeo; altri, invece, vi hanno visto la svolta fondamentale verso la democratizzazione e la costruzione dell’Europa politica. Ciò che è sicuro, come qualche giornalista ha già notato, è che si è creata un’opinione pubblica di livello "europeo", che si sente coinvolta nelle "vicende" europee, che considera e critica nello stesso momento un fatto accaduto in un paese dell’Unione, ma che, nello stesso tempo, è "comune" a tutti gli altri(120).
Le Istituzioni di Bruxelles, benché spesso ancora confuse tra loro dai cittadini, cominciano ad avere un posto sulla stampa nazionale e ad entrare nel "vero" quotidiano della gente, che almeno adesso saprà sicuramente che i "cattivi commissari" si trovano a Bruxelles e non sono eletti, mentre il Parlamento, "Robin Hood del 2000", ha la sua sede a Strasburgo!
9. Conclusioni
Secondo il vocabolario della lingua italiana Zingarelli, "crisi istituzionale" è un "profondo turbamento relativo a ciò che risulta fondato sulle leggi, le norme o gli usi e che comporta scelte e decisioni spesso definitive", in altre parole, essa è indice di un cambiamento delle fondamenta stesse. Questo cambiamento l’UE lo sta affrontando per molteplici motivi e sotto diversi aspetti; gli "scandali" e gli "affari" sono solo il motivo "apparente" di una reazione che ha origini più profonde.
Come affermato dallo stesso rapporto Besoins d’Union, "l’integrazione europea è per sua essenza un movimento rivolto verso l’avvenire. Non ci deve sorprendere il fatto che essa sia nata proprio negli anni […] in cui il continente europeo si è reso conto della sua debolezza ed ha posto in essere delle soluzioni veramente nuove"(121).
Oggi l’Europa si trova nuovamente confrontata a delle sfide che superano la dimensione nazionale e la capacità di reazione dei singoli Stati: la mondializzazione, l’evoluzione degli equilibri internazionali in materia di sicurezza, la sfida demografica ed un sistema di protezione sociale obsoleto, inadatto ai nuovi bisogni degli Europei(122).
A ciò si accompagna la nascita di un’opinione pubblica europea, che, grazie ai media ed alle stesse campagne d’informazione delle Istituzioni europee, è sempre più al corrente di cosa succede "nel paese vicino" e di come ciò possa influire sulla vita del "proprio". È la pressione di tale opinione pubblica, dei cittadini europei sempre più attenti ed esigenti, che spinge l’Unione nella direzione dell’evoluzione. Tentare di bloccare tale processo equivale all’autodistruzione dell’Europa unita, da un lato e, dall’altro, degli Stati stessi, ormai incapaci di potere evolvere singolarmente in certi campi o di far fronte da soli a certe sfide. La crisi che ha portato alle dimissioni di quell’organo particolare, a metà tra un esecutivo ed un legislativo (a causa del suo potere, quasi esclusivo, d’iniziativa legislativa), non è altro che il sintomo di quest’evoluzione, che i governi, ancora gelosi di certe loro prerogative, cercano di rallentare o, addirittura, di deviare.
In questa vicenda, non ci sono né vincitori né vinti, ma delle Istituzioni in cerca del loro assetto; un assetto che deve corrispondere alle esigenze attuali dell’Unione e dei suoi cittadini, e non ad una struttura concepita cinquant’anni fa per rispondere a delle necessità differenti. Le vicende degli ultimi due anni hanno messo in evidenza quali sono le deficienze dell’Unione e le polemiche, che hanno accompagnato le vicende dell’anno scorso, non hanno fatto che "girare" intorno al problema. Una crisi "[…] comporta spesso scelte e decisioni definitive", nel nostro caso, essa deve portare a trovare delle soluzioni concrete e radicali al "problema europeo", quello del deficit democratico. La mancanza di democraticità del processo d’integrazione europea e di alcune delle sue Istituzioni costituisce, ormai, lo scoglio che non può più essere aggirato e che deve essere eliminato, prima di potere pensare a qualsiasi altro tipo di sviluppo dell’Unione.
Come molti hanno fatto notare, l’UE è una realtà che non ha precedenti nella storia, essa è a metà strada tra il nazionale e l’internazionale: può influire direttamente sulla vita quotidiana dei cittadini europei, ma non ha voce in capitolo su settori che rimangono d’esclusiva competenza degli Stati membri. Nata per supplire a delle esigenze economiche, dietro le quali, comunque, si celavano delle esigenze politiche(123), l’UE ha, ormai, integrato tutto ciò che i governi nazionali hanno considerato "integrabile": il settore del carbone e dell’acciaio, il mercato del lavoro e quello dei capitali, arrivando persino alla creazione di una moneta unica. Ma il processo è andato ben al di là dell’economico ed è sfociato nel politico, malgrado tutte le obiezioni e le recriminazioni di coloro che nell’Europa unita non vedono altro che una minaccia alla loro "prosperità nazionale". Questa realtà ha bisogno di una sistemazione organica, di una ristrutturazione delle sue Istituzioni, che non si sono evolute di pari passo.
Ovviamente, nessuno pensa di negare che egoismi nazionali e cattive coordinazioni delle azioni sul piano internazionale siano un ricordo del passato (d’altro canto se ne è avuta una prova durante la guerra iugoslava e quella cecena), però, è pur vero che chiudere gli occhi non servirà a cambiare la realtà. Per superare tale "handicap", delle proposte concrete sono state elaborate da più parti, in particolare dal Movimento Federalista Europeo e dal gruppo ad hoc incaricato dalla Commissione di elaborare un rapporto sulle implicazioni istituzionali dell’allargamento dell’Unione. Le conclusioni del rapporto, le richieste del MFE e di alcuni eurodeputati vanno tutte nella stessa direzione: la creazione di un testo di portata costituzionale, che raccolga tutto ciò che di "politico" esiste nei trattati, separandolo dal "tecnico". Gli autori del rapporto auspicano che "la Commissione eserciti il suo potere d’iniziativa legislativa alla Conferenza Intergovernativa […] e presenti delle proposte concrete e dettagliate, sotto forma di un progetto di trattato"(124).
Eminenti esponenti del mondo giuridico si oppongono tenacemente all’idea di una "Costituzione" europea; è il caso del giudice del Tribunale Costituzionale Tedesco, Kirchof, il quale afferma che "la nozione di Costituzione suggerirebbe che viene creato uno Stato laddove non deve esserlo"(125). Uno "Stato" nel senso tradizionale del termine, cioè così come lo s’intende dal 1500 in poi, non può esistere al livello europeo: si tratta di due realtà diverse. Lo Stato-nazione possiede una struttura limitata, in grado di agire a dei livelli relativamente "locali", che si rivelano inadeguati ad affrontare le nuove "sfide globali"; lo Stato-sovranazionale (se mi si concede la libertà di esprimermi in tal modo) ha fondamenti e strutture che vanno, e devono andare, al di là di quelle del primo. L’Unione è in sviluppo, la creazione di una costituzione europea diventa possibile nella misura in cui non ci si ostini a paragonare la realtà europea con quella statale: diverse epoche, diverse strutture, diverse esigenze e maturità politiche.
Che il cambiamento è in atto all’interno dell’UE e che il promotore della "democratizzazione" europea non è solo il "nuovo" Parlamento, ma anche il "motore" di sempre, cioè la Commissione, è evidente: la ghigliottina non è caduta sul suo collo al momento in cui i fatti incriminati si svolgevano (tranne per una eccezione), ma quando la Commissione stessa ha denunciato le irregolarità e stava apprestandosi alla riforma interna. Riaffiorano alla memoria dei souvenir universitari: in L’Ancien Régime et la Révolution, Alexis de Tocqueville non aveva già osservato che la ribellione agli abusi non interviene nei momenti in cui la repressione è più forte, bensì quando le riforme sono in corso e sussistono le condizioni per il cambiamento?
Il presidente designato, Romano Prodi, nell’aprile 1999, ha affermato che il suo "vero obiettivo è trarre le conseguenze della moneta unica e creare un’Europa politica"(126). A suo parere, infatti, "nel campo economico, il mercato unico dei beni, dei fattori produttivi è stato il tema degli anni ‘80; la moneta unica, quello degli anni ‘90. Ora dobbiamo […] muoverci verso un’unica economia e verso un’unica politica"(127).
Questo suo "progetto d’Europa" sembra trovare sostegno anche fra i cittadini europei, i quali, secondo un sondaggio realizzato nel periodo di crisi della Commissione(128), hanno più fiducia che in passato nella democrazia dell’UE(129). Essi s’interessano sempre di più all’Unione, chiedono un maggiore grado di trasparenza delle Istituzioni e un’associazione maggiore nell’elaborazione del processo d’integrazione. Questo è il "segreto" per superare l’impasse e costruire l’Europa federale: nutrire il sostegno dal basso, creare un’Europa "dei cittadini", così come essi, e non i capi di Stato e di Governo, la vogliono. Il compito non è facile, perché, come lo stesso Presidente della Commissione ha ricordato, malgrado la consapevolezza di nti governi nazionali sempre più sulla strada dell’integrazione politica. La volontà esiste, le buone intenzioni anche, ma si tratta solo di teorie, i fatti sono veramente pochi: un vero progetto di costituzione europea non s’intravede all’orizzonte.
Secondo l’ex presidente di turno del Consiglio, Joshka Fischer,"La crisi che ha vissuto l’Unione avrà per effetto che le discussioni sugli aspetti della riforma delle Istituzioni, lasciate incomplete ad Amsterdam, riguarderanno più del previsto le relazioni Parlamento-Commissione-Consiglio. La questione dello sviluppo dei diritti del PE diventa più attuale che mai dopo questa crisi, che è stata un conflitto ‘classico’ con un Parlamento che ‘lotta per i suoi diritti’"(131).
Jean-Louis Bourlanges(132), MEP e presidente del Movimento Europeo francese, aggiunge:"Siamo, credo, d’accordo per non vedere entro un breve termine storico la creazione degli Stati Uniti d’Europa sul modello americano […]. Siamo fede-realisti! Per avanzare dobbiamo appoggiarci su ciò che funziona. Ma l’Europa federale funziona, mentre l’Europa delle nazioni, l’Europa intergovernativa, che arranca da dieci anni nei Balcani, non funziona"(133).
Ancora una volta, le "parole" sono incoraggianti, ma mancano i fatti. Il Presidente Prodi "predica" nel senso di un avanzamento federalista dell’Unione, accantonando la linea funzionalista, ma la realtà è che ben pochi, all’interno delle Istituzioni europee, ci credono. I cittadini europei si dichiarano interessati alle vicende dell’Europa, ma le elezioni europee del giugno 1999 hanno registrato un vero record negativo di astensioni in molti Stati membri. In ogni caso, il processo va avanti: la crisi ha messo in luce l’instaurazione di un nuovo senso di democraticità all’interno dell’Unione, la quale dimostra di avere raggiunto una certa maturità politica. Spetta a noi saperla canalizzare nella giusta direzione, riprendere la via del cantiere della costruzione europea, che "…eppur si muove"!
NOTE:
(1) All’inizio d’ogni semestre, il presidente in carica del Consiglio espone il suo programma dinanzi al Parlamento e, alla scadenza del suo mandato, rende conto dei risultati conseguiti. I vari "ministri" possono assistere alle sedute plenarie del Parlamento e prendere parte alle discussioni importanti nonché al "question time". D’altro canto i deputati possono rivolgere loro interrogazioni scritte ed orali (Cfr. AAVV, Il Parlamento europeo, Lussemburgo, OPOCE, 1997, p. 15).
(2) Cfr. AAVV, Impatto del Parlamento attraverso la procedura di codecisione, Bruxelles, 1997, p. 2.
(3) Cfr. AAVV, Comment fonctionne l’Union européenne?, Lussemburgo, OPOCE, 1996, p. 6.
(4) Potere di censura e poteri in materia di bilancio.
(5) La Commissione elabora proposte legislative, ne controlla l’applicazione e coordina l’attuazione delle politiche comuni, dando impulso al processo d’integrazione.
(6) In primo luogo, esiste un limite rappresentato dalla prassi, instauratasi negli ultimi anni in seno ai Consigli europei, di "indicare alla Commissione i principi direttivi delle proposte" (Cfr. AAVV, Il Parlamento europeo, cit., p. 15) da indirizzare al Consiglio dei Ministri. In secondo luogo, "prima di presentare delle proposte di atti comuni, la Commissione deve assicurare che esse possano essere finanziate nei limiti delle risorse proprie disponibili nel bilancio comunitario" (DRAETTA, Elementi di diritto comunitario, cit., p. 107). Parimenti di natura budgetaria è il terzo limite posto all’attività della Commissione: l’aumento delle competenze affidatele in questi ultimi anni è avvenuto senza la corrispettiva assegnazione dei mezzi finanziari ed umani necessari, causando uno stato d’indebolimento amministrativo dell’Istituzione, che ha portato ad un discredito politico agli occhi dei cittadini europei, ma, soprattutto, ad un suo indebolimento nei rapporti di forza con le altre Istituzioni.
(7) Il presidente del Parlamento constata formalmente che il bilancio sia definitivamente adottato. Ciò significa che la firma da questi apposta lo rende esecutivo, dotando l’Unione delle risorse finanziarie per l’anno seguente (Cfr. AAVV, Il Parlamento Europeo, cit., p. 11). Per importanti motivi, il Parlamento può rifiutare tale constatazione e rigettare il bilancio nel suo complesso, richiedendo nel contempo che gli venga presentato un nuovo progetto. Il potere di rigetto del bilancio in toto (che esclude, quindi, il rigetto delle singole voci) può rilevarsi un eccellente mezzo d’ostruzionismo. Inoltre, nell’espletamento della sua funzione di controllo il Parlamento dà atto alla Commissione, su raccomandazione del Consiglio, dell’esatta esecuzione del bilancio dell’anno precedente (décharge o discarico della responsabilità), sentita la relazione della Corte dei Conti. Quest’atto equivale al riconoscimento che la Commissione si è attenuta al principio della buona gestione finanziaria. In quest’ottica, al Parlamento è concesso d’interpellare la Commissione sull’esecuzione delle spese, o sul funzionamento dei sistemi di controllo finanziario, e questa è tenuta a fornire tutti i chiarimenti del caso (Cfr. DRAETTA, Elementi di diritto comunitario, cit., p. 158).
(8) Commissione, Parlamento, Consiglio, Corte di Giustizia, Corte dei Conti, Comitato Economico e Sociale, Comitato delle Regioni.
(9) Così come denunciato dal MEP Alvoet in un’intervista rilasciata al quotidiano belga Le Soir (B.L., Alvoet: La crise peut être salutaire, in Le Soir, del 17 marzo 1999), da Le Monde diplomatique (A.C. ROBERT, Les institutions européennes à l’épreuve, in Le Monde diplomatique del 16/3/99) e dal quotidiano La Repubblica (F. RAMPINI, La prima crisi, in La Repubblica del 16 marzo 1999).
(10) Cfr. AAVV, Comment fonctionne l’Union européenne?, cit., p. 21.
(11) Encefalopatia Spongiforme Bovina, o malattia di Creuzfeld-Jacob, ribattezzata dalla stampa "crisi della mucca pazza".
(12) Intervista realizzata nell’aprile 1999 al Dott. François Genisson, assistente del Segretario Generale dell’Unione Europea.
(13) Le polemiche sull’utilizzo da parte della Commissione dei "mini-budgets" (la procedura dei "mini-budgets" consiste nell’utilizzazione dei crediti operazionali per il finanziamento delle spese del personale e di quelle amministrative), ritenuta illegale dal Parlamento; l’ostruzionismo fatto da quest’ultimo in merito alla procedura sulla Comitologia o, più in generale, la pratica di bloccare i crediti, grazie ai suoi poteri in materia di bilancio, per esercitare maggiore pressione sul Consiglio e sulla Commissione ed essere associato in maniera più stretta già nella fase d’elaborazione del bilancio.
(14) Nel marzo 1998, la Corte dei Conti, per il terzo anno consecutivo, ha presentato un rapporto negativo in merito alla legalità ed alla regolarità delle transazioni effettuate nel corso degli esercizi in esame (Vol. II del Rapporto annuale, p.8).
(15) Risoluzione del 31 marzo 1998.
(16) Rapporto sulla concessione alla Commissione del discarico relativo all’esecuzione del bilancio 1996.
(17) Rapporto sull’indipendenza, il ruolo e lo statuto dell’UCLAF (ottobre 1998).
(18) Espressione usata negli stessi ambienti comunitari. Tale rapporto, elaborato dal MEP Herbert Bösch, giudica quantitativamente e qualitativamente insufficienti gli effettivi e la struttura dell’Antifrode Comunitaria, proponendo la creazione di un Ufficio Antifrode (OLAF, creato in seguito nel giugno 1999), con una struttura indipendente al seno della Commissione, ma fortemente sotto tutela del Parlamento.
(19) Cfr. Procédure de décharge 1997 sur les travaux de l’UCLAF et du contrôle financier ainsi que sur la gestion par la Commission des cas de fraude et de corruption, Parlamento europeo, DOC368/368763, p. 3.
(20) In seguito all’esame del verbale relativo alla seduta di votazione del Rapporto Bösch, vorrei fare notare che il Gruppo Socialista, cui appartiene il relatore del rapporto, aveva proposto una serie significativa di emendamenti, tutti respinti grazie ad una coalizione PPE-relatore stesso! A mio avviso, ciò denota una certa discordanza di opinioni all’interno del gruppo PSE, che poi sarà determinante in occasione del voto della mozione di censura, nel gennaio 1999.
(21) In virtù dell’art. 205 del trattato.
(22) Cfr. Rapport de la Commission pour le Groupe de réflection de la CIG 1996, p. 35.
(23) Dopo un iniziale blocco di 14 voci contro (PSE) e 14 voci a favore (PPE), grazie ad un voto di differenza, dovuto tra l’altro all’assenza di un componente del "gruppo del no" (On. Feret, del Fronte Nazionale Belga).
(24) Dichiarazione della Commissione europea del 16/12/1998.
(25) Una mozione di censura, per essere ritenuta ricevibile, deve essere presentata al Presidente del Parlamento da almeno un decimo dei deputati (ossia almeno 63). Tale deposito non è soggetto a condizioni particolari, ma deve essere accompagnato da una "motivazione". Il voto si svolge non prima di tre giorni dopo l’apertura del dibattito e deve avvenire con scrutinio pubblico. Perché la mozione sia approvata è richiesta una doppia maggioranza: la maggioranza dei membri che compongono il Parlamento (314) e la maggioranza di due terzi dei voti espressi. Se la mozione è approvata, la Commissione deve dimettersi collettivamente, in quanto un commissario non può essere sanzionato individualmente, essendo il suo operato, nell’esercizio delle sue funzioni, imputabile all’intero collegio. La Commissione dimissionaria gestisce l’ordinaria amministrazione fino all’insediamento dei nuovi commissari.
(26) Dichiarazione della Commissione europea del 16/12/1998.
(27) Documento informale interno al Gabinetto Santer (fuori bibliografia per ragioni di confidenzialità).
(28) 270 eurodeputati hanno votato contro il quitus (il discarico), 225 a favore e 23 si sono astenuti. Le rivelazioni sulle frodi e le irregolarità sui programmi gestiti dalla Commissione hanno spinto il Parlamento a "mostrare" la sua vigilanza di fronte all’opinione pubblica.
(29) Cfr. Session du Parlement européen à Strasbourg, flash (n°3) du 17/12/1998 sur la décharge 1996, Direzione Generale XIX della CE, 1/12/1998.
(30) Pauline Grenn, di nazionalità britannica. Ex poliziotto, ha lavorato per il movimento cooperativo. Membro del Parlamento europeo dal 1989, è stata capogruppo del PSE durante la precedente legislatura, oltre che vicepresidente dell’Internazionale Socialista.
(31) Anche Wilfried Martens, presidente dei democratici-cristiani,(gruppo del PPE) aveva dichiarato che il suo gruppo nutriva una "fiducia piena" (ad esclusione dei 47 esponenti e dei 9 olandesi) in Santer. PSE et PPE raggruppavano 415 seggi su un totale di 626, ciò che rendeva impossibile l’approvazione della mozione di censura.
(32) Come risulta dai verbali della riunione del Collegio del 15 marzo 1999 e dall’intervista rilasciata dal Commissario Mario Monti al quotidiano La Repubblica (Costretti a dimetterci per le colpe degli altri, in La Repubblica del 17 marzo 1999, p.4).
(33) Traduzione libera dell’articolo di Agence France Presse, Crise à Bruxelles, del 16/03/1999.
(34) UE/Commissione: il presidente Santer si è congedato dal Parlamento europeo, "Agence Europe" n°7430 del 23/02/1999, p.5.
(35) Traduzione libera di P. LEMAÎTRE, Des commissaires s’estiment tout bonnement victimes d’un lynchage, in Le Monde del 18/03/1999.
(36) Cfr. P. LEMAÎTRE, cit.
(37) Cfr. P. LEMAÎTRE, cit.
(38) Cfr. Les commissaires s’en vont, amers, in Le Soir del 17/03/1999.
(39) R. ORIZIO, La rabbia di Santer: la storia mi riscatterà, in Corriere della Sera del 17/03/1999.
(40) F. PAPITTO, "Costretti a dimetterci per le colpe degli altri", in La Repubblica del 17/03/1999, p.4.
(41) Intervista rilasciata da Sir Leon Brittan alla BBC.
(42) Cfr. Risoluzione del 23/03/1999 del Parlamento europeo.
(43) Cfr. José-Maria Gil-Robles, in Le Soir del 17/03/1999.
(44) Il Partito Popolare Europeo è anche il partito di Jacques Santer.
(45) B.L., Herman: "Cela fait le jeu du Conseil des ministres", in Le Soir del 17/03/1999.
(46) Ibidem.
(47) Cfr. Giornata Politica, in Agence Europe, n°7431 del 24/03/1999, p.4.
(48) B.L., Dupuis: "La défaite des institutions européennes fédéralistes", "Le Soir" del 17/03/1999.
(49) Ibidem.
(50) B.L., La crise peut être salutaire, in Le Soir del 17/03/1999.
(51) L’Europa non si limita alla relazione dei Saggi né alle dimissioni della Commissione europea, in Agence Europe, n°7428 del 19/03/1999, p.9.
(52) B.L., Il faut renforcer la Commission, in Le Soir del 17/03/1999.
(53) S. FOLLI, Tra l’Asinello e l’Unione: il riserbo del Professore non è indifferenza, "Corriere della Sera" del 17/03/1999.
(54) Cfr. Les partenaires attendent, soucieux, in Le Soir del 17/03/1999.
(55) Ibidem.
(56) AFP, Crise à Bruxelles, 16/03/1999.
(57) M. LEO, Schröder, d’une démission à l’autre, in Le Soir del 17/03/1999.
(58) Ibidem.
(59) Cfr. Commissione europea: dimissioni, in Corriere della Sera del 16/03/1999, p.1.
(60) Ibidem.
(61) R. Orizio, Il Parlamento di Strasburgo incalza per avere più poteri, in Corriere della Sera del 17/03/1999.
(62) I. CAIZZI, "Mi manda Edith": storia del dentista che ha sconvolto l’Unione, in Corriere della Sera del 17/03/1999.
(63) A. BONANNI, Scricchiola l’asse Parigi-Bonn, in Corriere della Sera del 18/03/1999.
(64) A. BONANNI, Valzer di poltrone, in Corriere della Sera del 21/03/1999.
(65) A. BONANNI, La spinta di Blair, in Corriere della Sera del 25/03/1999.
(66) Ibidem.
(67) Ibidem.
(68) PETRINI R., Sarà senza rimpianto l’addio ai venti cavalieri di Bruxelles, in La Repubblica del 3 gennaio 1999, p.10.
(69) F. RAMPINI, La prima crisi, in La Repubblica del 16/03/1999, p.1.
(70) Ibidem.
(71) Come del resto afferma lo stesso Rampini alla fine dell’articolo in questione.
(72) Ibidem.
(73) Come la dichiarazione della Commissione del 16/12/1998, richiedente il voto di una mozione di censura in caso di rifiuto del discarico 1996.
(74) L’Agenda 2000 racchiude il progetto di riforma sui finanziamenti dell’UE ed una revisione della PAC, che ha provocato le proteste di alcuni stati come la Francia.
(75) F. RAMPINI, La prima crisi, cit.
(76) F. RAMPINI, Grande mercato sul governo UE, in La Repubblica del 17/03/1999, p.1.
(77) A. POLITO, Il patto Blair-Schröder per riformare l’Unione, in La Repubblica del 17/03/1999, p.2.
(78) Ibidem.
(79) E. MAURO, Sinistra, ultima occasione, in La Repubblica del 17/03/1999, p.1.
(80) Ibidem.
(81) F. FUBINI, Frodi alla UE, colpevole la Commissione, in Il Giornale del 16/03/1999, p.17.
(82) Ibidem.
(83) Ibidem.
(84) M. FOA, Scacco matto agli intoccabili, in Il Giornale del 16/03/1999, p.17.
(85) Ibidem.
(86) G. PENNACCHI, Quello che Bruxelles bolla come scandalo in Italia è un vizio, in Il Giornale del 18/03/1999, p.2.
(87) Ibidem.
(88) L’Europa rossa nella bufera degli scandali, il Secolo d’Italia del 16/03/1999.
(89) A. FRACHON, La Commission de Bruxelles jugée par la presse, in Le Monde del 13/03/1999, p.37.
(90) Le premier palmarès des commissaires européens, in L’Expansion del 3-17 marzo 1999.
(91) De Bresson fa allusione all’esclusione-sorpresa, durante il vertice di Corfù del 1994, del candidato belga alla presidenza Jean-Luc Dehaene.
(92) H. DE BRESSON, Un tournant politique pour l’Union, in Le Monde del 17/03/1999.
(93) Traduzione libera di M. SCOTTO, Le Parlement européen grand vainqueur de la crise entend pousser son avantage, in Le Monde del 18/03/1999.
(94) Ibidem.
(95) Traduzione libera di Y. MAMOU, Les prérogatives de l’Assemblée de Strasbourg ont beaucoup augmenté, in Le Monde del 23/03/1999.
(96) Il Mercato Comune, l’AUE, l’euro e la Banca Centrale Europea
(97) Ibidem.
(98) Ibidem.
(99) Traduzione libera di D. VERNET, Les prémices d’un espace public européen, in Le Monde del 18/03/1999.
(100) Ibidem.
(101) Traduzione libera di P. JARREAU, La crise de l’Union fait irruption dans la campagne électorale, in Le Monde del 18/03/1999, p.5.
(102) Traduzione libera di A.C. ROBERT, Démission de la Commission, in Le Monde Diplomatique del 16/03/1999.
(103) Ibidem.
(104) Ibidem.
(105) La destra francese d’ispirazione gollista, rappresentata dal RPR e dal suo presidente Philippe Seguin, non è filoeuropeista!
(106) Editoriale di A. PEYREFITTE, pubblicato su Le Figaro del 16/03/1999.
(107) Editoriale di Y. THREARD, pubblicato su France-Soir del 16/03/1999.
(108) Cfr. Crise à Bruxelles, Le Monde del 17/03/1999.
(109) Traduzione libera di S. JULY, Les 24 heures qui ont changé l’Europe, in Libération del 16/03/1999.
(110) G. DUPLAT, Le choc nécessaire, in Le Soir del 16/03/1999.
(111) A. RICHE, Quelle vie après la Commision Santer?, in Le Soir del 17/03/1999.
(112) Ibidem.
(113) The Sun, The Times, Daily Express, Daily Mail, Daily Telegraph.
(114) Il primo ministro Tony Blair, nel suo discorso del 16 marzo, davanti ai Comuni, non ha esitato a ricordare che l’errore di avere nominato Santer alla presidenza della Commissione, nel 1994, incombe sul suo predecessore tory, John Major, che si era opposto alla nomina dell’allora primo ministro belga Dehaene, per accontentare l’ala nazionalista del suo partito, in quell’epoca in aperta ribellione.
(115) Europa oggi e Tribune pour l’Europe, pubblicate dal Parlamento europeo; Commission en direct e European Voice, che sono più vicini agli ambienti della Commissione; Europolitique e Agence Europe, che sono più indipendenti.
(116) Traduzione libera di Crise institutionnelle à risque, in Europolitique, n°2391 del 17/03/1999.
(117) Ibidem.
(118) L’Europa non si limita alla relazione dei Saggi né alle dimissioni della Commissione europea, "Agence Europe" n°7428 del 19/03/1999, p.3.
(119) Ivi p.4.
(120) Un esempio è il recente caso delle dimissioni del ministro tedesco Oskar Lafontaine. Un fatto di "politica interna" tedesca, che ha avuto conseguenze e suscitato "interesse interessato" in tutta l’Unione.
(121) Cfr. Besoins d’Union, Cellula di Prospettiva della Commissione europea, Bruxelles, 1998, p.9.
(122) Ivi p.11.
(123) La ricostruzione di un rapporto di pacifica collaborazione tra la Francia e la Germania.
(124) WEIZSÄCKER-DEHAENE-SIMON, Rapporto sulle implicazioni istituzionali dell’allargamento, Bruxelles, ottobre 1999, p.9.
(125) Intervista rilasciata al Rheinischer Merkur, nel maggio 1999.
(126) Cfr. UE/Commissione, in Agence Europe, n°7439 del 7/04/1999, p.4.
(127) R. PRODI, Discorso del 13/04/1999, di fronte al Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo.
(128) Rapporto n°51 dell’Eurobaromètre, realizzato per la Commissione europea tra il 12 marzo ed il 4 maggio 1999.
(129) In media il 42% degli intervistati si dice soddisfatto della democrazia nell’Unione, ma la percentuale varia dal 9% in Svezia, il 30% in Danimarca, il 32% nel Regno Unito al 61% in Spagna e al 61% sia in Irlanda che in Portogallo. Gli unici paesi in cui la fiducia è calata sono Lussemburgo, Danimarca e Austria.
(130) La moneta unica, maggiore associazione del Parlamento europeo al processo legislativo, estensione del voto a maggioranza in seno al Consiglio, ecc.
(131) Cfr. PE/Riforma istituzionale, in Agence Europe, n°7449 del 21/04/1999, p.3.
(132) Nato il 13.07.1946 a Neuilly (F). Diploma di studi politici e formazione presso la Scuola Nazionale di Amministrazione. Docente universitario. Presidente del Movimento Europeo Francese e deputato dal 1989.
(133) Intervista rilasciata al quotidiano Le Figaro, il 17/05/1999.