1. La vita
1. Sfogliando qualcuno dei libri di Christofer Hill, "il più acuto conoscitore del Seicento inglese"(1), il nome di Henry Neville(2) compare assai di rado e di sfuggita. Sebbene l'autorevole storico abbia dedicato una particolare attenzione ai contesti culturali in cui è maturata la rivoluzione del '49 e quella, di quaranta anni dopo, cosiddetta gloriosa, ed abbia sottolineato gli aspetti meno ufficiali ed indagati dalla storiografia, evidenziando gli aspetti radicali e popolari del movimento rivoluzionario, non si riscontra alcuna considerazione sul ruolo dell'autore del Plato redivivus. Le cose addirittura peggiorano se passiamo ad altri storici di quel periodo, che vide il fiorire e il declinare delle idee e dell'esperienza repubblicana.
Dopo il fallimento delle iniziative politiche dei commonwealthmen, quando il corso degli eventi cominciava a chiarire quale ruolo Cromwell avesse riservato per sé, i repubblicani presero a riunirsi per impulso di Harrington, che fondò un club a cui diede il nome Rota, con evidente riferimento alle idee espresse in Oceana sulla rotazione delle cariche elettive in un'ideale repubblica. Chiunque abbia lasciato una testimonianza su questo club, ha sottolineato come il principale esponente e frequentatore sia stato Henry Neville, quell'intimo amico di Harrington, capace di convincerlo a tralasciare la letteratura per dedicarsi alla teoria politica. Quest'ultima preziosa attestazione ci proviene da un partecipante a quegli incontri, John Aubrey(3), l'autore di Brief Lives, che descrisse l'ambiente, le modalità di partecipazione, gli argomenti trattati, i frequentatori stessi del club. Sfortunatamente, Aubrey non ha lasciato un profilo specifico ed autonomo di Neville. Sembra gli sia bastato menzionarlo nella vita di Harrington. E proprio da quelle pagine è tramandata la celebre battuta di Thomas Hobbes, al quale viene pure dedicato un capitolo di questo singolare testo (e sono le due biografie più lunghe dell'opera), secondo il quale Neville abbia avuto un dito sulla composizione di Oceana. Una collocazione - in subordine ed in funzione di Harrington - che non ha più abbandonato Neville, per l'appunto, con unanime interpretazione, "amico di Harrington e suo palese erede letterario"(4), come si è espresso John Pocock.
Alla fine, per farsi una ragione che spieghi la causa di una simile trascuratezza, si può sospettare che proprio la forte amicizia che lo tenne legato ad Harrington, particolarmente lodata da Aubrey, che apprezzò la fedeltà di Neville nei confronti dell'antico amico in disgrazia e decadenza fisica, abbia potuto nuocere alla sua conoscenza. La 'partecipazione' o influenza a un testo chiave del repubblicanesimo moderno, ipotizzata (forse in quel caso maliziosamente) dal grande pensatore politico inglese, in ogni caso avrebbe dovuto rendere l'autore del Plato redivivus degno di considerazione da parte degli studiosi. Del resto la condivisone di ideali ed idee repubblicani attestata nella vita e negli scritti dei due amici, legittimano la battuta hobbesiana, ma di fatto la debole fama di Neville, immeritata già rispetto a queste considerazioni preliminari, rimane legata al ricordo dell'amico.
2. L'importanza di Neville si raccoglie infatti nelle non molte notizie che abbiamo della sua vita, che ci dicono del suo impegno politico ed intellettuale nella varie fasi della rivoluzione inglese e, della susseguente restaurazione. Henry era discendete di ciò che era stata, nel Quattrocento, la più importante famiglia del Regno, quando per una combinazione ereditaria e per una serie di vittorie nella guerra delle due rose, Richard, detto The Kingmaker per essere l'alleato decisivo di Richard di York (e poi del figlio di questi), si trovò ad unire su di sé i titoli nobiliari della contea di Warwick e di Salisbury. Titoli che andarono persi nel 1570 dal tradimento di Charles. Le vicende dei Neville andrebbero seguite con particolare interesse, dato che si intrecciano in modo decisivo, anche per motivi parentali, con il sorgere della dinastia Tudor, e con una figura eminente quale quella di Reginald Pole, umanista e cardinale che si oppose al divorzio del suo re e antico benefattore Enrico VIII. In questa fitta e complicata trama di eventi e parentele, proprio il cardinale Pole rappresenta un aggancio fondamentale tra l'aristocrazia inglese, da cui discenderà Henry, e l'Italia di Machiavelli. Sua è l'espressione più antimachiavellica della prima metà del Cinquecento, che inaugurò la stessa categoria dell'antimachiavellismo, quando nella Apologia ad Carolum definì il Principe un libro "libro scritto con il dito del diavolo" e il suo autore come "nemico del genere umano"(5).
Henry Neville, prima del suo diretto impegno politico e quando ancora non aveva completato gli studi universitari ad Oxford, viaggiò per l'Europa, rimanendo legato, come molti repubblicani inglesi di quel periodo, all'Italia e a Firenze in particolare. "Verso il 1645, mentre la prima guerra civile stava raggiungendo il suo culmine, Henry ritornò in Inghilterra"(6), e si arruolò nell'esercito parlamentare. Ma la carriera pubblica, aggiunge la Robbins, seguendo le supposizioni delle principali biografie(7), sembra iniziare dopo l'esecuzione del re nel 1649. Infatti, sappiamo dalla voce curata da J. M. Riggs per il Dictionary of National Biography, "sebbene apparentemente non in parlamento, fece parte della Goldsmiths' Hall committee sui delinquenti nel 1649 (per raccogliere denaro dai patrimoni confiscati, precisa la Robbins), e fu posto nel Consiglio di Stato nel 1651"(8).
Membro del Parlamento, dunque, fino ad essere segretario del Consiglio di Stato, il governo che aveva condannato a morte Carlo I, si oppose, come i repubblicani intransigenti (Vane, Sidney e Ludlow), al potere personale di Cromwell, finché fu espulso nel 1653 dal Rump dai soldati e costretto a lasciare Londra e vivere in un ritiro semiforzato. Tentò qualche anno dopo, nel 1656, di farsi rieleggere nel collegio di Reading, ma sebbene avesse riportato abbastanza voti per ottenere uno dei cinque seggi, fu battuto da candidati cromwelliani in elezioni che risultarono irregolari per le violente pressioni esercitate dallo Sceriffo. Neville lo citò in giudizio, e non fu il solo caso in cui si accusò il governo di intervenire illecitamente in favore dei candidati di osservanza cromwelliana, ma perfino giudici come John Vaughan dichiararono la difficoltà di dirimere una questione così complicata sotto il profilo legale e giudiziario. Nel caso di Neville, il giudice si rimise all'autorità del Parlamento, e lì se ne discusse tra il 1659 e il 1660, ma non si arrivò mai a un verdetto, malgrado fosse investita della faccenda anche la Exchequer Chamber(9).
Ma in realtà la vita parlamentare fu fortemente condizionata da Cromwell, il quale nel '53, quando ancora Neville era deputato, aveva sciolto con la forza il Rump (ciò che rimaneva del Long Parliament dopo la cosiddetta purga di Pride del dicembre del 1648 che aveva avviato la riforma dello Stato), convocato e nuovamente sciolto un altro parlamento nello stesso anno (il cosiddetto Barebones o Piccolo Parlamento), quando nel dicembre, con l'Instrument of Government, fu istituito il Protettorato. I successivi Parlamenti del 1654, del '56 e del '58 o furono quasi subito sciolti (il primo e il terzo) o subirono una pesante epurazione.
Ancora una volta la sua vita politica sembra riprendere grazie alla scomparsa del grande nemico del momento, in questo caso il Lord Protettore. Neville fu infatti rieletto nel Parlamento nel 1659, sempre nel collegio di Reading, l'anno dopo la morte di Cromwell, sotto il Protettorato di Richard Cromwell, che era succeduto al padre nella più alta carica del Commnwealth. Ma i nemici di Neville continuarono a lavorare contro di lui, accusandolo di ateismo e blasfemia, un modo per espellerlo dal Parlamento. Sembra infatti che Neville avesse detto di preferire Cicerone alla Bibbia e questo fu sufficiente per gridare all'eresia. La questione, come riportano anche i diari di alcuni personaggi eminenti di quel periodo, fu portata al dibattito parlamentare, ma a difesa di Neville intervennero autorevoli commonwealthmen che scongiurarono il tentativo di allontanarlo dal Parlamento.
È probabile che queste avversità intervenissero per le sue posizioni rispetto alle questioni più urgenti per la situazione politica del Paese. Neville si prodigò perché alcuni oppositori di Cromwell fossero liberati dalla prigione, e soprattutto non deve avergli giovato la sua insistenza per evitare di riconoscere Richard null'altro che come capo di Stato de facto, dato che pensava che sia il Protettore che la Camera dei Lord fossero impropriamente costituiti. Egli era per "a single person and two houses", ma se i Cromwell aspiravano ad essere dei re, disse Neville, allora gli Stuart avevano un titolo migliore. In tal senso, in un frangente fluido e teso, si opponeva alla concentrazione di potere nelle mani del Protettore, il quale pericolosamente aveva il controllo delle forze armate. Come sosteneva allora e avrebbe scritto nel Plato redivivus, le nazioni perdono la loro libertà quando i loro governanti detengono il potere militare senza alcun controllo.
Il 27 gennaio del 1659 Richard Cromwell convocò un nuovo parlamento per cercare un appoggio contro l'esercito che rifiutava di accettarlo come erede del padre. Un tentativo inutile, dato che nella seduta del 7 maggio di quell'anno alcune frange repubblicane e lo stesso esercito si accordarono sulle sue dimissioni e il Lord Protettore fu costretto ad abdicare. Così Neville, che aveva partecipato ad entrambe le decisive sessioni (quella di gennaio e l'altra di maggio), nelle quali con Henry Marten e John Wildman aveva portato avanti le tesi harringtoniane, fu nuovamente rieletto nel Consiglio di Stato insieme a Sidney. Ma dopo alcuni mesi, il 13 ottobre, un colpo di stato guidato da Lambert esautora il Parlamento. Il Committee of Safety, un governo di salute pubblica espressione dell'esercito, viene posto in carica per estromettere il Consiglio di Stato.
Ciò che è curioso in questo frangente caotico, e che non è mai stato approfondito dagli storici, è che Harrington e Vane, tra gli altri, vengono cooptati in questo governo del nuovo regime, mentre Neville ed altri membri del deposto Consiglio si oppongono alla nuova situazione, considerandosi l'unica autorità legittima, fino a cercare di reclutare forze in propria difesa. Non dunque una contrapposizione teorica, ma una situazione che poneva Neville addirittura nella illegalità costituzionale, e Harrington nel versante del potere legittimo e quindi contrario a quello che sosteneva l'amico. La confusione sulle vicende di quei mesi si infittisce allorché sappiamo che Harrington organizzò un club, chiamato Rota, che si riuniva nello stesso periodo in cui gli amici erano divisi sulla posizione da prendere nei confronti del governo militare. Il Rota, come è noto, diverrà il celebre luogo di incontro in cui i repubblicani discuteranno le questioni politiche del Paese e "dedicated to devising model republican constitution"(10) e fu oggetto di violenti attacchi di ispirazione monarchica e di satire che descrivevano i repubblicani di contemplare il governo della luna e invitavano Harrington di mandare i suoi aforismi in Jamaica, a dimostrazione della importanza che assunse nei pochi mesi di vita. Come commenterà John Aubrey, "i dibattiti parlamentari erano ben ispidi al confronto". Ma, altra testimonianza preziosa in Brief Lives, la dissoluzione del club avvenne in concomitanza e a causa della restaurazione: "upon the unexpected turne upon generall Monke's comeing-in, all these airie modells vanished".
Gli eventi corrono tutti verso questa soluzione. Così anche il nuovo governo militare finisce i suoi giorni a dicembre, quando un'altra sessione del Parlamento è convocata (per essere subito sciolta), e ancora una volta Neville vene eletto nel nuovo Consiglio di Stato.
Tuttavia le vicende personali, anche quelle di repubblicani come Harrington e Neville, non sono esenti da ambiguità(11), come sottolinea Nicastro, né i fatti sembrano essere del tutto chiari. È possibile che lo stesso Neville, in febbraio nominato dal Parlamento Presidente, sia latore di una lettera di Carlo II che il Parlamento comunque si rifiuta di ascoltare. Ciò che è certo è che la situazione è ancora una volta nelle mani dell'esercito, a cui lo stesso Parlamento si affida. Inevitabilmente il generale George Monk è arbitro delle sorti del Paese e la restaurazione appare fatale. "A dispetto dei segni e portenti"(12), come si esprime eloquentemente la Robbins per sottolineare il coraggio del deputato repubblicano, Neville portò in Parlamento una mozione per un giuramento che rinnegava Carlo. Se ciò è vero, questo è in contrasto con la notizia riportata da Nicastro, a meno che non sfuggano particolari preziosi che intervengano a dare luce in circostanze magmatiche.
Monk comunque provvede a reintegrare a Westmister, i secluded members (i parlamentari espulsi con la purga di Pride per tendenze filomonarchiche), guidati da William Prynne, e questa volta - è il 21 febbraio, lo stesso giorno il Rota Club cessa le sue riunioni - fu Neville, tra i più aperti oppositori della monarchia, con altri trentadue Rumpers, a dover lasciare il Parlamento, che del resto Monk avrebbe finito con il destituire il giorno dopo. Le nuove elezioni istituirono un Parlamento favorevole alla monarchia, che venne così proclamata nella seduta del 1 maggio.
I repubblicani vengono perseguitati: Sidney e Ludlow andarono all'estero, dove furono raggiunti da alcuni attentatori, e l'anno successivo anche Harrington fu arrestato e imprigionato nella Torre di Londra.
"At the Restoration Neville became a target for informers"(13), ma sulla sua sorte a questo punto le fonti non danno sufficienti chiarimenti. Zera Fink non sembra credere all'arresto, quanto piuttosto all'ipotesi che Neville "sought safety in inconspicuous retirement"(14). La Robbins ha probabilmente seguito questa indicazione, e propende per un rifugio a Warfiled o nel Bellingbear, dichiarandosi contraria alle notizie sulla prigionia ("statements that he was improsoned at the Restauration seeem to be incorrect"(15), in quanto dalla corrispondenza che ebbe in quel periodo suo fratello Richard non risultano accenni né preoccupazioni su un eventuale prigionia di Henry. Di diverso avviso il Dictionary of Seventeenth-Century British Philosophers (che pure ha nella sua bibliografia Two English Republican Tracts) secondo il quale Neville sarebbe stato arrestato, interrogato e chiuso nella Torre di Londra, fino ad ottenere un passaporto per andare nel 1664 all'estero, data in cui effettivamente Neville si recò in Italia. Secondo Riggs, infine, che si basa tra gli altri su Wood, citato dalla Robbins abbondantemente, Neville sarebbe stato sospettato di esser coinvolto nella cosiddetta sommossa dello Yorkshire, e quindi arrestato e chiuso nella Torre, ma non essendoci prove contro di lui, rilasciato l'anno successivo(16). Ma Riggs sostiene con eccessiva approssimazione che da allora Neville "sembra avere vissuto in ritiro fino al giorno della sua morte, il 22 settembre 1694", quando è omesso almeno l'importante soggiorno italiano nella corte del Granduca di Toscana, e, soprattutto, il suo intervento nel dibattito politico attraverso la pubblicazione del Plato redivivus, nel 1681.
In ogni caso i migliori dettagli si trovano in Nicastro, che adopera prudenza sulla sorte di Neville all'indomani della restaurazione. Un arresto è possibile nel clima delle cospirazioni che il ritorno degli Stuart determinò, e d'altra parte gli altri repubblicani ebbero guai: Ludlow e Sidney trovarono prudente espatriare; Wildman, autore di alcuni pamphlets, collega di Neville alla Camera e frequentatore del Rota club, e lo stesso Harrington (nel dicembre del 1661) furono arrestati e rinchiusi nella Torre di Londra. A quest'ultimo fu perfino chiesto se conoscesse Neville. Domanda curiosa, dato che era cosa evidente e notoria che i due fossero intimi (egli del resto rispose "molto bene"), e malgrado le lettere di Neville venissero aperte e controllate, non ci sono notizie di un suo arresto.
Ma è nell'ottobre del 1663 - e qui la puntuale ricostruzione di Nicastro(17) (che segue in questo caso la Robbins(18)) si ricongiunge con quella più 'veloce' del Dictionary - che Neville viene condotto alla Torre di Londra per qualche mese sospettato di esser coinvolto nella cosiddetta sommossa dello Yorkshire.
Così anche Neville ebbe a soffrire alcuni mesi di reclusione, un soggiorno certamente non confortevole quello nella Torre, dato che il Colonnello John Hutchinson, che fu arrestato insieme a lui, doveva morire in quella detenzione e lo stesso Harrington, deportato poi all'isola di S. Nicola, non si riprenderà più dalle pene della prigionia. Sembra che Neville abbia perorato con determinazione la propria causa, e i suoi sforzi ebbero successo fino ad ottenere un passaporto per andare all'estero, e nel maggio 1664, al suo rilascio, effettivamente si recò in Italia.
Ciò che possiamo supporre, comparando il destino dei repubblicani dopo la svolta monarchica del Paese, che per almeno il primo periodo ciò che consentì di salvare Neville dal proposito vendicativo del nuovo re che, malgrado le dichiarazioni di amnistia concordate con il generale Monk, intendeva punire i regicidi del '49, può essere stata la circostanza che egli non abbia fatto parte dell'Alta commissione che condannò a morte Carlo I. Inoltre può avergli giovato anche la sua opposizione a Cromwell, l'odiato Lord Protettore che i monarchici dopo la restaurazione disseppelliranno (insieme ad Ireton) e ne impiccheranno il cadavere.
Certo è un fatto che Neville non subì un'ostinata persecuzione di Cromwell, rispetto ad altri che pure furono ostili alla sua dittatura, e rimane anche singolare il fatto che la sua stessa reclusione nella Torre, al ritorno degli Stuart, non gli abbia impedito di difendersi dalle accuse fino ad ottenerne la libertà. Anche questa una circostanza rilevante per un uomo che aveva rivestito le massime cariche del Commonwealth, se si considera che sia Harrington che Sidney, per fare due nomi celebri e assai vicini a Neville (il secondo era anche un suo cugino) ebbero processi clamorosamente irregolari e morirono o sul patibolo, o dopo una penosa detenzione, finendo i loro anni con la salute irrimediabilmente compromessa(19). Che poi anche le accuse per Neville fossero infondate, come è più che lecito ipotizzare (visto peraltro l'esito favorevole della sua difesa in tribunali ligi al potere regio), era un espediente a cui ricorrevano gli uomini di governo, sia repubblicani che realisti, per perseguitare con ogni mezzo i propri oppositori.
L'anno dopo la reclusione avviene il prudente viaggio in Italia, che si protrae fino al 1668, l'anno della pubblicazione dell'Isle of Pines, quando Neville rientra in Inghilterra.
Ma anche la relazione con il Medici merita una considerazione che aumenta le perplessità sopra accennate. Il Granduca di Toscana era parente lontano del monarca inglese e quando si recò in Inghilterra nel maggio del 1669 fu ospite dei fratelli Neville nella loro residenza nel Berkshire, in una località tra Londra ed Oxford. Cosimo III si allontanò dai suoi ospiti solo per un pranzo offerto in suo onore dal re inglese, il quale evidentemente tollerava la frequentazione del cugino italiano con il noto repubblicano inglese. O meglio, il repubblicano inglese, che più volte aveva seduto nel Parlamento repubblicano e nel Consiglio di Stato fino a proporre un pronuncia contro il ritorno degli Stuart, era ben libero di ospitare un principe nella sua residenza.
In sostanza, a parte la reclusione tra il '63 e il '64, Neville passò abbastanza indenne, rispetto ai suoi compagni repubblicani, i periodi turbolenti della guerra civile, della dittatura cromwelliana, della restaurazione monarchica e della svolta costituzionale dopo la gloriosa rivoluzione.
2. Il Plato redivivus
"Neville costituisce un filo di continuità attraverso le tre generazioni del repubblicanesimo inglese del diciassettesimo secolo, dato che egli visse abbastanza a lungo da conoscere ed influenzare la più giovane generazione di commonwealthmen che era emersa dopo la Rivoluzione del 1688-9 e consegnare a loro la fiaccola delle idee di Harrington"(20).
Quando nel 1681 fu pubblicato il Plato redivivus Neville aveva appena superato i sessant'anni e aveva alle spalle l'esperienza diretta della guerra civile e dell'Interregno, vissuti tra la Camera dei Comuni e il Consiglio di Stato, l'opposizione a Cromwell e il carcere, nonché l'attività pamphlettistica e letteraria e il sogno repubblicano spento dalla restaurazione Stuart. Tuttavia per i commonwealthmen nuove speranze sembravano potersi aprire dal dissidio tra i sostenitori del re e i Whigs, divisi da questioni che intrecciano politica e religione nella cosiddetta Exclusion crisis. Carlo II infatti non aveva eredi e a succedergli aveva designato il fratello Giacomo, di tendenze filocattoliche. Il Parlamento si opponeva a questa insistente richiesta del re e ciò determinò un attrito nel precario equilibrio tra le due principali istituzioni del regno. Venne così a porsi ancora la questione delle rispettive prerogative dietro le manovre dei partiti di appoggiare i candidati alla corona: Giacomo appunto, e il duca di Monmouth, figlio illegittimo del sovrano sostenuto dai Whigs. Questi votarono alla Camera dei Comuni un primo Exclusion Bill nel 1679, ma il re impedì la votazione alla camera dei Lord prorogando il Parlamento in Maggio, e per più di un anno, fino all'autunno del 1680, non convocò le aule. Quando il Parlamento si riunì nuovamente, ancora una volta alla Camera bassa fu votata la legge per impedire la successione al fratello del re, ma la Camera dei Lord bocciò il provvedimento sebbene di stretta misura. A questo punto sembrava decisivo il Parlamento che si sarebbe riunito ad Oxford nel marzo del 1681. "Complotti e controcomplotti" erano nell'aria, e le circostanze sotto le quali avveniva questa sessione parlamentare "erano straordinarie", i whigs si presentarono "con bande di uomini armati". "Carlo similmente apparve in forze, e la strada per Oxford era piena di suoi supporter". Per Zera Fink, in sostanza, "Civil war indeed seemed a likely outcome"(21).
È in questo stato di cose che cade la composizione del Plato redivivus, un clima tutt'altro che "favorevole alla riflessione"(22). La 'fiaccola harringtoniana' portata da Neville doveva essere trasmessa alle giovani generazioni di repubblicani in un contesto simile a quello che aveva determinato l'esecuzione di Carlo I, di cui lo stesso Neville era stato testimone. E date le circostanze, il suo contributo teorico costituirà un tratto decisivo nello sviluppo del costituzionalismo inglese.
L'opera, in forma di dialogo, fu pubblicata nel 1680, e riapparve in una veste leggermente ampliata l'anno successivo. La seconda prende in esame più dettagli sul dibattito dell'Exclusion Crisis, focalizzando l'attenzione sulla candidatura del duca di Monmouth contro quella del duca di York, il fratello del re, e come la precedente ha l'obiettivo di "influenzare il re e il Parlamento" con una discussione che procede dalla ricognizione storica dell'Inghilterra, la causa dei mali che l'affliggono e l'ipotesi della migliore forma di governo tracciata sull'esempio del modello veneziano.
Nella prefazione dell'opera si afferma che si tratta di una ripetizione dei principi di Oceana, e in effetti è dichiarato che "il dominio è fondato sulla proprietà"(23). Secondo Neville i problemi dell'Inghilterra sono dovuti all'incapacità di adattare la costituzione ai cambiamenti intervenuti nel corso dei tempi alla proprietà. È questa, secondo Pocock, "la tesi cruciale" di Neville, secondo cui "il declino del baronaggio aveva lasciato che il re, e il suo potere esecutivo con le connesse prerogative, dovessero fronteggiare una massa di sudditi "comuni", rappresentati in parlamento, sui quali il sovrano non aveva controllo alcuno. E allora fino a che non si fosse adottata una soluzione costituzionale […] mediante la quale si avesse una redistribuzione del potere, i rapporti tra corte e comuni erano destinati a rimanere fluidi e incerti"(24). Questa analisi della storia inglese aveva una chiara ispirazione di teoria politica.
Pur professando lealtà "ad una della migliori monarchie del mondo"(25), il Plato redivivus spingeva Carlo II a ridurre i propri poteri. Neville voleva che il Parlamento convincesse il re, se possibile con la ragione ma anche con insistenza, a trasferire i poteri di governo alla Camera dei Comuni. Gli eventi successivi dimostrarono che, almeno in questa direzione, fu un appello vano.
Il passaggio che ci sembra fondamentale dell'opera, e che è in realtà, se non spingiamo troppo l'interpretazione del suo pensiero, un tratto che indica l'essenza dello stile repubblicano di Neville, tra ironia e realismo, imparato dai canoni del suo "divino Machiavelli"(26), risiede proprio nel tentativo di ricondurre il potere regale in pratiche che, a posteriori, definiremmo costituzionali: "terremo per fermo che, reggendo il re nelle sue mani la suprema esecuzione delle leggi, non si può ragionevolmente supporre che egli sia disposto ad osservarle allorquando egli sia in grado di scegliere se farlo o no, essendo cosa naturale che nessun uomo, ove possa evitarlo, faccia alcunché contro il proprio interesse. Ora, quando avrete considerato bene che cosa possa essere quella che dà al re la libertà di decidere qual parte della legge debba o meno aver corso, allora vedrete che questa cosa è il grande potere che re ha nel governo della cosa pubblica. Quando il Parlamento avrà scoperto ciò, indubbiamente esso si farà a chiedere a Sua Maestà una diminuzione delle sue regali prerogative soltanto in quelle materie che toccano i nostri beni supremi, e cioè le nostre vite, le nostre libertà e le nostre proprietà, e lascerà il suo regale potere integro e intatto in tutte le sue altre branche".(27)
Zera Fink osservò con acume e non senza eleganza a quali conseguenze portava la proposta politica del Plato redivivus, una lettura che non ha trovato purtroppo adeguato sviluppo nelle successive interpretazioni: "Neville sottolinea che egli vorrebbe abbattere le "prerogative reali soltanto in quelle materie che toccano i nostri beni supremi, e cioè le nostre vite, le nostre libertà e le nostre proprietà". Carlo può benissimo essersi chiesto perché egli abbia inserito la parola "only""(28). "E lascerà - la conclusione di Neville, che la Fink ha mancato di aggiungere alla sua citazione per rendere più gustosa e penetrante l'osservazione - il suo regale potere integro e intatto in tutte le sue altre branche".
3. La fortuna
È stato più volte sottolineato come l'Inghilterra si sia scoperta repubblicana solo dopo il regicidio, nel senso che un esito così drammatico per la monarchia inglese era a quel tempo impensabile, dato il sostegno diffuso, al di là delle turbolenze sociali e politiche, di cui godeva la Corona. Il Protettorato cromwelliano, che pure nasceva dalla rivoluzione repubblicana, e la successiva restaurazione, cancellando l'esperienza istituzionale della repubblica, potrebbero lasciare supporre che il movimento intellettuale e politico repubblicano avesse esaurito la propria parabola. Se fosse così, il rilievo di Neville e dei repubblicani inglesi, marginalizzato nell'attività politica di quegli anni attorno alle istituzioni della nuova forma di Stato, avrebbe un'importanza relativa.
A partire dagli anni Sessanta si è imposto nella comunità scientifica un modo differente di studiare la storia intellettuale. La tunnel story di John Pocock(29), ha mostrato infatti come le idee e gli ideali repubblicani inglesi non solo siano sopravvissuti ai contingenti sbocchi istituzionali di un breve frangente storico, ma costituiscono l'esito dell'elaborazione di una concezione della libertà sviluppatasi con la filosofia politica aristotelica e ciceroniana, che ha avuto il suo apogeo culturale e politico nell'umanesimo civile fiorentino e, proprio attraverso l'esperienza repubblicana inglese (con quella delle repubbliche "sorelle" olandesi), abbia continuato ad alimentare il dibattito politico nella lotta d'indipendenza delle colonie britanniche fino a costituire la matrice ideologica dei nascenti Stati Uniti d'America.
E in effetti i repubblicani inglesi del XVII ebbero una singolare ammirazione per Niccolò Machiavelli. In Oceana, una delle opere maggiori del pensiero politico inglese, il Segretario fiorentino è descritto come il più grande pensatore politico dei tempi moderni, e da Milton a Sidney, a Moyle, Osborne e Nedhaam, troviamo sempre un riferimento costante, argomentato ed elogiativo dell'autore dei Discorsi. Questo apprezzamento particolarmente accentuato da parte dei commonwealthmen di quel periodo per l'autore dei Discorsi bilancia una tendenza altrettanto larga nella cultura inglese, che diffusasi inizialmente nella Francia, faceva dell'autore de il Principe uno scrittore maledetto e demoniaco. Questa vocazione tra i repubblicani a riferirsi all'autorevolezza del "divino Machiavelli" si accentua in Neville, il quale, non mancando anch'egli di elogiare il Segretario fiorentino nelle sue opere, ne diviene il cultore più eminente, traducendone per la prima volta in lingua inglese l'opera omnia.
Neville pertanto rappresenta una figura di eccezionale interesse per la comprensione storica della cultura politica inglese del Seicento, per essere egli stato lo studioso più acuto, sistematico e non occasionale di Machiavelli, introducendolo con perfetta competenza nel dibattito politico di quegli anni.
Il problema è che su Neville è stato scritto davvero molto poco. Neppure gli studi specifici sulla fortuna di Machiavelli nell'Europa moderna di Giuliano Procacci, che oggi rappresentano una guida irrinunciabile in questa strada, accennano alla complessa ed importante attività di traduzione di Neville. Probabilmente Procacci ha valutato le indicazioni di Felix Raab, la sua autorità sulla ricezione machiavelliana in Inghilterra(30), in maniera eccessivamente prudente, e i dubbi avanzati in The English Face of Machiavelli sulla paternità della traduzione di Neville - in realtà risolti dallo stesso Raab - suppongo abbiano finito per avere determinato il silenzio di Procacci. Comunque sia, occorre ritornare per questo aspetto al 1964, la data in cui è stata pubblicata la brillante tesi di dottorato dell'allievo di Trevor-Rooper per avere le migliori indicazioni.
Il libro di Raab infatti è la sintesi, per quell'epoca, degli studi sulla questione del machiavellismo, verificata attraverso una ricerca minuziosa. Così sappiamo che la prima traduzione in inglese di un'opera machiavelliana - The Arte of Warre - è del 1563 ad opera di Peter Whitehorne e dedicata alla regina Elisabetta. Tra il 1580 e il 1610 circolano in Inghiltera delle traduzioni manoscritte del Principe e dei Discorsi nonché le edizioni pirata in italiano delle medesime opere, stampate nel 1584 da John Wolfe a Londra ma recanti la falsa dicitura di Palermo come luogo di edizione. Tre anni dopo lo stesso stampatore pubblica, sempre in italiano e sempre con falsi luoghi di edizioni, le Istorie Fiorentine (Piacenza) e l'Arte della Guerra (Palermo). Finchè nel 1595 vengono tradotte le Istorie da Thomas Bedingfield e soprattutto, rispettivamente nel 1636 e 1640, Edward Dacres volge in inglese i Discorsi e il Principe.
Dopo alcune ristampe delle traduzioni di Dacres, nel 1674 appare finalmente la traduzione e fu edita sotto il titolo: The works of the famous Nicholas Machiavel, Citizen and Secretary of Florence, containing, 1. The History of Florence. 2. The Price. 3. The Original of the Guelf and Ghibilin Factions. 4. The Life of Castruccio Castracani. 5. The Murther of Vitelli, &c. by Duke Valentino. 6. The State of France. 7. The State of Germany. 8. The Discourses of Titus Livius. 9. The Art of the War. 10. The Marriage of Belphegor , a Novel. 11. Nicholas Machiavel's Letter, in Vindication of himself and his writings: All written in Italian, and from thence newly and faithfully Translated into English.
Dunque si tratta dell'opera omnia con un'importantissima aggiunta, oltre all'apocrifo machiavelliano sui guelfi e ghibellini, vale a dire The Letter, in cui è evidente l'artifizio letterario tendente ad attribuire a Machiavelli uno scritto composto dieci anni dopo la sua morte.
Colmare questa lacuna è davvero difficile. Zera Fink, nel suo pionieristico saggio del 1945 sul pensiero politico inglese del Seicento, dedica a nostro parere uno dei migliori commenti sul Plato Redivivus, contestulizzandolo nella problematica apertasi con la crisi sull'Esclusione.
Peres Zagorin, altro celebre studioso degli avvenimenti durante la rivoluzione, lo cita soltanto un paio di volte, in nota, per riportare ancora una volta la questione dell'attribuzione della celebre Lettera di un Ufficiale dall'Irlanda, il pamphlet che riprende le tesi espresse da Harrington in Oceana, e poi per identificare gli autori di un altro pamphlet, che si erano firmati con le sole iniziali. Tra queste proprio le H N. Un problema analogo di attribuzione, questa volta concernete i tre scritti non machiavelliani presenti nella traduzione di Neville, di cui il più significativo è certamente la Lettera di Machiavelli, è discusso da Felix Raab nella seconda appendice del suo libro The English Face of Machiavelli(31). Nel caso specifico, ad oggi sono le migliori argomentazioni sulla paternità di Neville dell'apocrifo machiavelliano. Il fatto che qualcuno abbia supposto autentica The Letter può semmai dimostrare la padronanza e familiarità dell'autore con gli scritti del Segretario fiorentino(32).
Rimane a tutti gli effetti preziosa dunque l'edizione del Plato Redivivus di Caroline Robbins, pubblicata nel 1969 insieme a An Essay upon the Constitution of Roman Government di Walter Moyle nel Two English Republican Tracts, se non altro perché ci consegna l'opera maggiore del pensatore e uomo politico repubblicano, e anche perché fornisce finalmente una specifica ed importante biografia del suo autore ricavata principalmente dai lavori di Anthony a'Wood, contemporaneo di Neville, e che fu maestro proprio dell'Aubrey. Dopo di ciò, benché il pensiero politico del repubblicanesimo inglese abbia suscitato una sempre maggiore attenzione da parte degli storici, soprattutto da quando vengono riconosciuti i suoi debiti intellettuali con l'umanesimo italiano ed è interpretato come fase di elaborazione ideologica di idee che culmineranno nella stagione costituente americana, Neville, che di Machiavelli fu tra i repubblicani inglesi del XVII secolo il maggiore cultore, sottoponendosi alla poderosa fatica della traduzione delle opere del "Cittadino e Segretario di Firenze", è rimasto, nei testi che approfondiscono quella stagione intellettuale, una figura assolutamente minore, ritornando alla collocazione che da Aubrey a Zogorin gli è stata assegnata.
Sviluppando alcune suggestioni della Robbins, John Pocock, che ha dato un impulso straordinario agli studi sulla storia intellettuale del pensiero politico repubblicano, ha proposto un'interpretazione del Plato Redivivus nel contesto intellettuale della restaurazione come mediazione e adattamento della teoria politica harringtoniana alla mutata situazione politica ed istituzionale inglese dopo il 1660. Al di là della plausibilità dell'autorevole spiegazione, rimane il fatto che Neville non sembra sfuggire al destino di essere letto e criticato in funzione della vicinanza ad Oceana, come se non avesse avuto un'autonoma elaborazione intellettuale.
Gli studi più recenti ed importanti sui repubblicani inglesi, specialmente quelli di Quentin Skinner(33), che ha ripercorso e interpretato lo sviluppo della teoria repubblicana della libertà prendendo in esame una serie di autori che furono i protagonisti di quelle vicende politiche e i maggiori teorici di quel contesto culturale, e Jonathan Scott(34), che ha dedicato una speciale attenzione alla vita e all'opera di Algernon Sidney, non approfondiscono il peculiare contributo del traduttore inglese di Machiavelli.
È inutile dire che la lacuna non giova alla comprensione della storia intellettuale della rivoluzione inglese.
4. Neville in Italia
La storia della fortuna di Machiavelli in Inghilterra ha avuto importanti cultori italiani, Napoleone Orsini(35) a Mario Praz innanzitutto, per finire con i saggi di Giuliano Procacci. Nessuno di loro ha mai, incredibilmente, incrociato Henry Neville, che, come detto, rappresenta il passaggio cruciale di quella storia.
Il celebre testo di Praz, Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi, contiene uno studio specifico su Machiavelli e gl'Inglesi dell'epoca elisabettiana(36), in cui viene seguita la "leggenda nera" dell'autore del Principe nel Paese di Shakespeare.
Sulla scia delle ricerche di Orsini, Praz ha infatti evidenziato come il nome del Segretario fiorentino già compare in Inghilterra in un'accezione sinistra, prima ancora che sia tradotta in inglese nel 1577 l'opera denigratoria di Gentillet, composta del 1576 e stampata poi nel 1602. La tradizione demonica del Principe e del suo autore, che Reginald Pole contribuì in modo decisivo ad accreditare, si fonda su precise operazioni ideologiche che servivano a 'demonizzare' piuttosto l'avversario del momento.
Il saggio di Mario Praz è di particolare interesse perché individua nelle prime traduzioni del termine politica l'originario principio di travisamento e tradimento dell'autentico pensiero machiavelliano. Politica assume un valore negativo, ed è assimilata alla figura stessa di Machiavelli, con cui divine una sorta di sinonimo. Di più, "i termini Machiavelli e Satana divennero a tal segno equivalenti, che, laddove in principio le astuzie attribuite a Machiavelli eran chiamate diaboliche, più tardi le astuzie del diavolo furon dette Machiavellian"(37).
Ma oltre alla fama diabolica, vi è pure l'ammirazione per Machiavelli, "whose genius had illuminated all the dark places of policy"(38), come si espresse Maculay per riabilitarne a metà Ottocento il nome. Praz allora sottolinea come "persone colte, statisti, pensatori, filosofi, potevano leggersi Machiavelli nell'originale, e un intraprendente stampatore di Londra, Wolfe, provvide ai bisogni di questo pubblico col divulgare le opere del Fiorentino falsando il luogo di stampa (Palermo e Roma invece di Londra) tra il 1584 e il 1588, così riuscendo ad eludere la censura"(39). La quale censura, mentre incoraggiava la diffusione del Contre-Machiavel per motivi di propaganda anticattolica(40), impediva la pubblicazione delle prime traduzioni del Principe e dei Discorsi, permettendo tuttavia quella di opere ritenute meno pericolose come l'Arte della Guerra (1562) e le Istorie fiorentine (1595). Solo nel 1640 veniva pubblicata la prima versione a stampa del Principe di Edward Dacres. Questi sono gli importanti presupposti del contesto in cui si muove la ricezione di Machiavelli in Inghilterra, che curiosamente mancano della tappa decisiva: la prima traduzione dell'opera omnia di Machiavelli.
Solo le importanti ricerche di Anna Maria Crinò(41) hanno finalmente posto in risalto in Italia l'importanza di Henry Neville, che dell'Italia ebbe una grande passione. La Crinò ha studiato le relazioni tra la Toscana del Seicento e l'Inghilterra, e rinvenuto tra gli archivi di Firenze e di Reading alcune lettere e notizie riguardanti sia il soggiorno di Neville in Italia, avvenuto in età giovanile, dopo avere lasciato l'Università di Oxford, sia il successivo viaggio del Gran Duca di Toscana Cosimo III in Inghilterra, di cui Neville era divenuto amico, nonché i rapporti degli ambasciatori di quest'ultimo che forniscono dettagli interessanti che illuminano l'amicizia tra il repubblicano inglese e il principe italiano.
Nel 1956 Vittorio Gabrieli ha pubblicato per Einaudi Puritanesimo e libertà, Dibattiti e libelli. Si tratta di una raccolta di testi che vanno dal 1647 al 1652, le date che rappresentano "i quattro anni cruciali della rivoluzione puritana", come spiega lo stesso Gabrieli. La selezione ci permette di leggere in italiano degli estratti dai Dibattiti di Putney, "uno spettacolo inconsueto di ufficiali e soldati riuniti in un'assemblea democratica a discutere il futuro destino di tutto il paese", che è senz'altro "un fenomeno senza precedenti"(42); e alcuni scritti di Liburne, Walwyn e Winstanley. Tuttavia, dal Saggio introduttivo alla finale nota sugli autori dei "pamphlets" e sulle principali persone da esse nominate non c'è traccia di Neville, che fu straordinario pamphlettista, né, a dire il vero, di altre figure di primo piano della rivoluzione inglese, quali Francis Osborne o Marchmont Needham, per tacere degli stessi Harrington e Sidney.
Dopo di ciò, a parte la pubblicazione di alcune lettere tratte dalla The Neville Paper da parte della stessa Crinò(43) (sulla cui importanza basta dire che risultano tra le fonti utilizzate dalla Robbins), in italiano non esistono che due frammenti delle opere di Neville. Si tratta di una parte esigua, come impongono i testi antologici, del Plato Redivivus, curata per il Mulino da Nicola Matteucci nell'oramai lontano 1980. Un'edizione prestigiosa (la collana è quella diretta da Vittorio de Caprariis) ma che appare inevitabilmente datata, dato che i testi raccolti che vanno da Lilburne a Burke, passando appunto per Harrington, Neville, Milton e Sidney, tutti accomunati e ricondotti al costituzionalismo inglese, che dà il titolo all'antologia(44), meriterebbero oggi ulteriori specificazioni.
Accomunare il filone repubblicano con quello liberale è stato tuttavia un indizio 'profetico', le cui suggestioni andrebbero tenute presenti e approfondite proprio per quel dibattito che si è sviluppato, specialmente negli ultimi tempi tra repubblicani e liberali sul concetto di libertà. Nella sua presentazione Matteucci tiene distinte le due tradizioni per il loro proprium, ma è sottolineato come entrambe abbiano contribuito congiuntamente a creare, anche nella prassi costituzionale anglosassone, quei principi che stanno alla base della democrazia liberale. Se si leggono già in questo contesto gli interventi di Neville nel Plato redivivus, ci si rende conto del contributo originale del suo pensiero politico.
Arriviamo così al 1984, anno in cui appare la traduzione parziale della lettera di Niccolò Machiavelli, il celebre apocrifo composto da Neville quando tradusse in inglese nel 1674 l'opera machiavelliana. Anche questo episodio della produzione di Neville si trova in un'antologia, curata da Enrico Nuzzo e molto ben documentata sotto il profilo della bibliografia e della stessa comprensione del pensiero politico repubblicano inglese del Seicento.
Infine, nel 1988, il compianto Onofrio Nicastro, fine e scrupoloso studioso palermitano e docente all'Università di Pisa(45), ha tradotto e commentato The Isle of Pines, quel pamphlet di Neville che, come con dovizia di particolari spiega il curatore nel suo studio introduttivo, raccolse un notevole successo all'epoca della sua pubblicazione. La biografia nevilliana di Nicastro è oggi sicuramente quella più completa e accurata di cui si possa disporre, così come il suo commento alle vicende dei Pines, che hanno evocato, nella critica letteraria, l'archetipo di Robinson Crosue. Anche le notizie raccolte con passione da Nicastro per ciò che riguarda la fortuna editoriale europea di questa particolare pubblicazione nevilliana rimane un modello di ricerca storiografica, e meriterebbero una valorizzazione di cui neppure l'Inghilterra è stata capace.
Per eccesso di scrupolo, qualche critica può essere avanzata, a parere di chi scrive, per taluni aspetti dell'interpretazione che Nicastro muove per l'autore dell'"invenzione letteraria" - "ci troviamo…di fronte a uno scritto minore di un autore minore"(46) - quando sarebbe forse più opportuno ribadire che la comprensione del repubblicanesimo inglese non può non passare per l'autore del Plato redivivus (e di qualche altro personaggio - penso a Francis Osborne - che la critica ha quasi del tutto trascurato). Anche la bibliografia, minuziosa, erudita, e spesso anche raffinata rispetto alle ricerche riguardanti le specifiche vicende di Neville e delle sue opere, può apparire adesso, relativamente ad alcuni particolari della cornice ideologica e culturale, datata, come è inevitabile per ogni apparato bibliografico sul repubblicanesimo che sia precedente alle ricerche di Skinner o che, per propri motivi, comunque ne prescinde(47).
Tuttavia la traduzione di Nicastro, e la competenza con la quale è presentata al lettore (purtroppo solo) italiano, al quale è offerto opportunamente anche il testo originale e, come detto, una serie di utili appendici, ha il notevole merito di avere anticipato la scoperta che i ricercatori inglesi hanno fatto dell'Isola nevilliana, avvenuta soltanto nel 1999 allorché la Oxford University Press ha ripubblicato quell'opera di Neville in un volume insieme all'Utopia di Thomas More e alla New Atlantidis di Francis Bacon. Quest'ultimo atto editoriale potrebbe sancire l'assoluta dignità del pensiero politico di Henry Neville.
NOTE
(1) Così viene presentato dall'editore Einaudi che ha curato le maggiori traduzioni dei suoi saggi storici, di cui segnaliamo, per il contesto storico ed intellettuale del periodo che stiamo analizzando, almeno C. Hill La formazione della potenza inglese. Dal 1530 al 1780 (1967), Torino, Einaudi, 1977; Id., Il mondo alla rovescia (1972),Torino, Einaudi, 1981; Id., Le origini intellettuali della rivoluzione inglese (1965), Bologna, Il Mulino, 1980, oltre alla celebre biografia di Cromwell e agli studi su Milton.
(2) Per le biografie di Henry Neville esiste l'ormai imprescindibile studio di Onofrio Nicastro - alla cui memoria dedico questo saggio - che, come si dirà in seguito, sarà lo studioso che più di ogni altro approfondirà l'opera e la vita del repubblicano inglese. Ma preziosi aspetti della vita di Neville, a cui Nicastro (come la stessa Robbins) farà riferimento, si trovano in Anna Maria Crinò, che ha studiato le relazioni culturali tra la Toscana e l'Inghilterra del XVII secolo. Le altre fonti principali sono il noto saggio di Zera Fink, l'introduzione della Robbins al Plato Redivivus, il Dictionary of Seventeenth-Century British Philosophers e il Dictionary of National Biography, che a loro volta si rifanno a documenti dell'epoca, come l'opera di Wood o i diari di personaggi che furono coinvolti in quelle vicende. Talvolta tutte queste fonti, che spesso si richiamano a vicenda, sono in contraddizione tra loro o non chiariscono alcuni aspetti, sia pure cruciali, della vita di Neville e delle vicende a cui egli partecipò.
(3) The Brief Lives di John Aubrey (1626-1697) furono pubblicate per la prima volta nel 1949 da O. L. Dick, che raccolse in un volume i 56 manoscritti che l'autore aveva lasciati caoticamente incompiuti alla sua morte, da quando il suo maestro e professore di Oxford, Anthony Wood, lo sollecitò a fornirgli materiale biografico per il dizionario, da lui stesso curato, sugli scrittori ed ecclesiastici di quella università. L'importanza di questo testo risiede nel fatto che Aubrey sia stato in contatto personale con le più eminenti personalità del suo tempo, e che abbia potuto raccontare, dei personaggi descritti, particolari altrimenti sconosciuti.
(4) J. G. A. Pocock, Il momento machiavelliano (1975), Bologna, Il Mulino, 1980, II, p. 716.
(5) G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, Bari, Laterza, 1995, p. 87. Ma sul Pole, ovviamente, si rinvia agli studi di Adriano Prosperi. Cfr. F. Raab The English Face of Machiavelli, A changing interpretation, 1500-1700, London, 1964, pp. 267-272.
(6) C. Robbins, Two English Republican Tracts, Cambridge, Cambridge University Press, 1969, p. 6.
(7) Così anche il The Dictionary of Seventeenth-Century British Philosophers, II, ed. By A. Pyle, Thoemmes Press, 2000, p. 604.
(8) Dictionary of National Biography, ed. by S. Lee, vol XL, London, Smith, Elder & Co., 1894, p. 259.
(9) C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 6.
(10) The Dictionary of Seventeenth-Century British Philosophers, cit., p. 604.
(11) O. Nicastro, Henry Neville e l'isola dei Pines, SEU, Pisa, 1988, pp. 24-25.
(12) C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 11.
(13) The Dictionary of Seventeenth-Century British Philosophers, cit., p. 604
(14) Z. Fink, The Classical Republicans, Northwestern University Press, 1962, p. 123.
(15) C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 11.
(16) Dictionary of National Biography, cit., p. 259.
(17) O. Nicastro, Henry Neville e l'isola dei Pines, cit., p. 25.
(18) C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 12.
(19) Sidney sarebbe divenuto, proprio per il processo farsa che fu costretto a subire nel quale venne condannato in base ad alcune asserzioni scritte nei suoi Discourses, che saranno pubblicati postumi, un mito per le successive generazioni di repubblicani. Harrington subì la censura di Cromwell, ma soprattutto la persecuzione di Carlo II, sebbene fosse stato amico del padre fino ad assisterlo negli ultimi giorni della sua vita.
(20) B. Worden, English Republicanism, in J. H. Burns-M. Godie (eds.), The Cambridge History of Political Thought (1450-1700), Cambridge, Cambridge University Press, p. 458.
(21) Z. Fink, The Classical Republicans, cit., p. 129.
(22) R. Farneti, I repubblicani inglesi, in Il Pensiero politico, Idee Teorie Dottrine, vol. II: Età Moderna, Torino, Utet, 1999, p. 209. Anche altre affermazioni di Farneti, nella stessa frase, suscitano alcune perplessità. Si dice infatti che Neville "si trova a meditare sul disastro determinato dalla dissoluzione della repubblica in una fase non inoltrata della propria esistenza, ad avere cioè davanti a sé un tempo sufficiente per ripensarne i fondamenti ideologici in un clima favorevole alla riflessione". Sul clima s'è già detto, rimane il dubbio su come lo scrittore potesse supporre, peraltro a 60 anni, di vivere "in una fase non inoltrata della propria esistenza" ed "avere cioè davanti a sé un tempo sufficiente" per ripensare ai "fondamenti ideologici" repubblicani.
(23) H. Neville, Plato redivivus, in C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 89.
(24) J. G. A. Pocock, Il momento machiavelliano, II, cit., p. 715.
(25) H. Neville, Plato redivivus, in C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 69.
(26) H. Neville, Plato redivivus, in C. Robbins, Two English Republican Tracts, cit., p. 21.
(27) Citiamo in questo caso dalla traduzione parziale apparsa in I costituzionalisti inglesi, a cura di N. Matteucci, Bologna, Il mulino, 1980, p. 155.
(28) Z. Fink, The Classical Republicans, p. 130. L'autrice del saggio tuttavia ha lasciato questa straordianria osservaizone in una nota - la 41 - al suo commento dell'opera di Neville.
(29) Ci limitiamo a segnalare solo qualche testo: J. G. A. Pocock, Politics, Language and Time, Atheneum, New York 1971 e Id., Politica Linguaggio e Storia, Prefazione e cura di E. A. Albertoni, Ed. di Comunità, Milano 1990, una raccolta di saggi (che contiene anche due capitoli del libro citato precedentemente) che Pocock ha dedicato nel corso degli anni alla metodologia nell'indagine storica e all'interpretazione dei testi politici. Per una critica cfr. I. Hampsher-Monk, Political Languages in Time: The Work of J. G. A. Pocock, in "British Journal of Political Science", XIV, 1984, pp. 89-116; R. Hamowy, Cato's Letters, John Locke and the Republican Paradigm, in "History of Political Thought", XI, n. 2, 1990, pp. 273-294 (che discute criticamente l'interpretazione di Pocock della teoria politica anglo-americana del diciottesimo secolo in termini neo-machiavelliani e non, come una consolidata corrente storiografica che l'autore esamina, quale prodotto della filosofia politica di Locke); V. B. Sullivan, Machiavelli's Momentary "Machiavellian Moment". A Reconsideration of Pocock's Treatment of the Discourses, in "Political Theory", XX, n. 2, 1992, pp. 309-318. Cfr. infine le interessanti osservazioni I. Shapiro, Realism in the Study of the History of Ideas, in "History of Political Thought", III, n. 3, 1982, pp. 535-578, che critica un approccio alla storia della political theory e delinea una visione alternativa: "The view I criticize has, over the past fifteen years, come to command widespread assent within the (Anglo-American) discipline. Its roots lie in the work of Skinner, Pocock and Dunn" (p. 535)
(30) G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, cit., p. 213: "Felix Raab […] rimane ancor oggi un punto di riferimento obbligato". Tuttavia precisa che dal 1964, data della pubblicazione di The English Face of Machiavelli, "gli studi sulla fortuna inglese del Segretario fiorentino hanno registrato ragguardevoli avanzamenti", e il riferimento è soprattutto a Pocock. Sfortunatamente non abbiamo alcuna allusione a qualcosa riguardante Neville, di cui anche Pocock, oltre a Raab, si è occupato.
(31) F. Raab The English Face of Machiavelli, A changing interpretation, 1500-1700, cit., pp. 267-272.
(32) Sarebbe interessante capire quale sia l'origine degli altri due testi non machiavelliani. Su questi Raab non si pronuncia, limitandosi a riportare le congetture di altri interpreti: The Original of the Guelf and Ghibilin Factions, che appare dopo The Prince, sarebbe secondo Gerber una traduzione di un'introduzione francese alla vita di Castruccio Castracani (e Wood sembra accreditare l'ipotesi che Neville abbia cominciato ad avere una qualche familiarità "con le lingue moderne" grazie ai suoi viaggi per l'Europa, sebbene sia noto che non conoscesse il francese). Sempre secondo Gerber, anche l'introduzione all'Arte della Guerra, il terzo apocrifo presente nella traduzione di Neville, avrebbe origini francesi.
(33) In particolare si fa riferimento all'ultimo libro che Skinner ha dedicato al tema, Liberty before liberalism, rinunciando a dare un resoconto dell'opera dello storico di Cambridge sull'argomento, che sarebbe impossibile contenere in una nota. Tuttavia mi sia permesso di rinviare, anche per alcuni aspetti bibliografici, al mio La libertà e il mestiere dello storico. Dialogo con Quentin Skinner, in "Teoria Politica", 1, 2003, pp. 178-191.
(34) Jonathan Scott è tra i maggiori storici del periodo, e sicuramente il più autorevole interprete dell'opera di Sidney, a cui ha dedicato due importanti e orami imprescindibili lavori: Algernon Sidney and the English Republic, 1623-1677 (1988) e Algernon Sidney and the Restoration Crisis 1677-1683 (1991), entrambi editi dalla Cambridge University Press. L'ultimo suo libro è una generale panoramica sul pensiero politico inglese XVII secolo (England's Troubles, Seventeenth-Century English Political Instability in European Context, Cambridge University Press, 2000).
(35) N. Orsini, Le traduzioni elisabbettiane inedite di Machiavelli, in Id., Studi sul Rinascimento italiano in Inghilterra, Firenze, 1937.
(36) M. Praz, Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi, Roma, Tumminnelli, 1942, pp. 87-147.
(37) M. Praz, Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi, cit., p. 130.
(38) T. B. Maculay, Critical and Historical Essays, London, Longman, Brown, Green, and Longmans, vol. I, p. 50.
(39) M. Praz, Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi, cit., p. 98.
(40) Poco importava dell'anticlericalismo machiavelliano, più ancora interessava presentare Machiavelli come espressione tipica del cattivo genio italico, e, quindi, papista.
(41) A. M. Crinò, Un amico inglese del Gran Duca di Toscana Cosimo III: Sir Henry Neville, in English Miscellany, 3, (1952); id., Antologia del pensiero politico inglese, Firenze, 1953.
(42) V. Gabrieli, Puritanesimo e libertà, Dibattiti e libelli, Torino, Einaudi, 1956, p. XIX.
(43) A. M. Crinò, Lettere inedite italiane di Sir Henry Neville, in Fatti e figure del Seicento Anglo-Toscano, Olschki, Firenze, 1957, pp. 174-208.
(44) I costituzionalisti inglesi, a cura di N. Matteucci, Bologna, Il Mulino, 1980.
(45) Nella biblioteca pisana esiste un fondo a lui intitolato, e, se è lecita una nota personale, i funzionari della biblioteca di Reading, dove ho anche trovato i testi di Nicastro e della Crinò, ricordano con precisione la dedizione del ricercatore italiano, di cui anche Jonathan Scott, professore di storia a Cambridge ed esperto di Sidney, mi ha parlato.
(46) O. Nicastro, Henry Neville e l'isola dei Pines, cit., p. 7, in cui tuttavia si precisa che si tratta di un'opera "meno superficiale forse di quel che la prima impressione potrebbe suggerire, e comunque non priva di interesse in rapporto a temi e a questioni di portata più generale".
(47) Alla data della pubblicazione erano già apparsi importanti contributi di Quentin Skinner sulla storia intellettuale del repubblicanesimo inglese e sul contesto culturale ed ideologico dell'epoca della rivoluzione di cui Nicastro non tiene conto.