Il processo di modernizzazione del diritto che ha caratterizzato nel secolo XX molto paesi del mondo arabo non ha risparmiato la Tunisia, che cinque mesi dopo l’indipendenza, acquisita nel marzo del 1956, si è dotata di un Codice di Statuto Personale ispirato a principi laici e moderni. La Mağalla al-ahwāl al-šahsiya costituisce uno dei codici più all’avanguardia non solo nel Maġrib ma nell’ampio panorama arabo, spiccando per la sua audacia riformatrice, soprattutto nei riguardi della donna. L’introduzione di importanti riforme quali l’abolizione della poligamia, l’eliminazione del ripudio, la concessione ai coniugi di pari opportunità al fine di ottenere lo scioglimento del matrimonio mediante il ricorso al giudice, è opera di un riformismo rivoluzionario, che attraverso una nuova lettura, adatta la šarī‘a ai tempi moderni.
Prima del 1956, i musulmani tunisini erano sottomessi, per ciò che riguarda lo statuto personale, al diritto musulmano applicato dai tribunali šaraitici. Un diritto costituito da prescrizioni contenute nel Corano, da soluzioni elaborate dai dottori della legge di scuola mālikita e da un insieme di elementi consuetudinari. Tali tribunali consacravano, da un lato, lo stato di inferiorità della donna nel matrimonio, nelle procedure di divorzio, nei riguardi dei figli e nella successione, dall’altro la precarietà del legame coniugale attraverso la poligamia e il ripudio.
Il legislatore tunisino del 1956 ha avuto il coraggio di affermare che la codificazione che ha immobilizzato la donna nell’islām è storica, ed è andato oltre, nel tentativo di proporre delle leggi che, precedendo i tempi, potessero fare evolvere le strutture sociali del paese. Il ruolo della corrente riformista modernista, rappresentata in Tunisia da Tāhir Al-Haddād, ha senza dubbio giocato un
ruolo fondamentale; tuttavia, non si potrebbero comprendere le acquisizioni del CSP senza riconoscere che è stato necessario un uomo come Habīb Bourguiba, profondamente convinto delle sue idee, detentore di un potere assoluto, figura carismatica e visionaria, perché le modifiche allo Statuto Personale, e i successivi emendamenti, fossero possibili.
Dal 1956, il legislatore tunisino ha perseguito una politica coraggiosa in favore della donna sempre alla ricerca di un compromesso, tra i principi universali progressisti del modernismo e la specificità dell’islām, affinché queste riforme non venissero avvertite come minacce d’assimilazione culturale e perdita di identità. Sebbene le riforme giuridiche, fino ad ora attuate, costituiscano uno stimolo verso una reale emancipazione della donna, tuttavia qualsiasi emendamento legislativo risulterebbe vano se non avvenisse il passaggio dalla teoria alla pratica: è questo un compito duro e un impegno costante, che ancora oggi, dopo 35 anni dalla promulgazione dello Statuto, caratterizza la società tunisina.
Nell’euforia dei primi mesi di indipendenza, la Costituzione del 1 giugno 1959 riconosce la pienezza del godimento dei diritti senza alcuna distinzione o discriminazione, affermando che "Tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, essendo uguali di fronte alla legge". In seguito, conformemente a ciò, si costituirà un edificio giuridico il quale applicherà il principio di uguaglianza in altri campi: parità di salario, protezione dagli incidenti sul lavoro, uguaglianza nella funzione pubblica, congedo di maternità e assegni familiari, pari opportunità lavorative, insegnamento obbligatorio.
Tuttavia, la mentalità della stragrande maggioranza della popolazione sembra evolversi lentamente e in modo conservatore. Certo, in Tunisia le donne lavorano, ma il matrimonio rimane lo scopo della loro esistenza; il marito mantiene un ruolo predominante nella famiglia; le donne sono attive ed evolute nella vita pubblica, ma arretrate sul piano privato. Nei rapporti di coppia, gli uomini mantengono i tradizionali pregiudizi. Nonostante la famiglia, come struttura fondamentale della società si vada evolvendo, in base alle nuove esigenze e ai moderni bisogni, permane la condizione di inferiorità della donna, il suo status di persona sottomessa, il suo dovere d’obbedienza, radicato in comportamenti e mentalità maschiliste e patriarcali, che prescindono dall’islām.
È innegabile che il processo di modernizzazione si stia dirigendo verso una crescente equiparazione dei diritti e dei doveri dei coniugi, ma nella realtà i risultati sono scarsi. Intorno alla donna si cristallizzano le più importanti contraddizioni tra modernità e tradizione: è lei, ad essere oggetto insieme di incomprensione e di conflitto tra culture, di rigido controllo sociale da parte della propria comunità, oltre ad essere ridotta a simbolo ora del rifiuto ora dell’accettazione dell’occidentalizzazione.
L’analisi avrà per oggetto lo status della donna all’interno della famiglia secondo il CSP tunisino: in essa, partendo dalle fonti storiche dello statuto personale, comuni a tutti i paesi musulmani, fino al momento delle influenze europee, attraverso l’opera degli esponenti del riformismo in Tunisia, si coglieranno gli aspetti di continuità e di rottura con la tradizione.
I Le fonti dello statuto personale
L’ordinamento giuridico-religioso dell’islām poggia principalmente su due fonti: il Corano e la Sunna. Il Corano è il libro sacro dell’islām, parola stessa di Dio rivelata al profeta Muhammad per essere trasmessa agli uomini. Secondo la tradizione, fu l’angelo Gabriele, nell’arco di circa venti anni, a dettare letteralmente il Corano a Muhammad, inviato di Dio. La rivelazione divina si costituisce di precetti morali, esortazioni, racconti biblici e disposizioni giuridiche, facendo del Corano la base della dottrina islamica.
Laddove non risultino esaustive le indicazioni della rivelazione coranica, viene in aiuto dei credenti l’esempio del profeta stesso. La Sunna, infatti, è l’insieme delle azioni, delle decisioni e delle parole del profeta, a noi pervenute mediante la tradizione orale (racconti o hadīt), rivestendo un’importanza fondamentale per la codificazione del diritto islamico. La šarī‘a, dunque, è l’espressione stessa della volontà divina, nota agli uomini attraverso la rivelazione diretta (Corano) e indiretta (Sunna) elaborata, in seguito, dai dottori della legge nel fiqh.
I.1Dalla società pre-islamica a Muhammad: šarī‘a e Consuetudine
Prima della predicazione di Muhammad, tanto in Arabia quanto nel Maġrib, predominava il principio del patriarcato patrilineare, che attribuiva al maschio il possesso esclusivo della donna. Secondo il diritto consuetudinario beduino, l’uomo poteva prendere come mogli quante donne gli fosse piaciuto e a suo totale arbitrio poteva ripudiarle. La nascita di una figlia era considerata un elemento di debolezza per il gruppo familiare, una vera e propria sventura domestica, un disonore: così che il padre poteva decidere di uccidere la neonata. Alla donna non era riconosciuta alcuna personalità giuridica: al momento della morte del marito, la vedova cadeva in successione, annoverata tra i beni cui aveva diritto l’erede più prossimo del de cuius. Tuttavia, bisogna notare come già all’epoca di Muhammad, alcune donne svolgevano ruoli sociali tutt’altro che trascurabili e, ancora prima dell’avvento dell’islām, vi era una partecipazione attiva delle donne, persino in funzione di leader, a un’ampia gamma di attività comunitarie.
Tenendo conto, dunque, dello specifico retroterra culturale e sociale nel quale la rivelazione islamica opera, è innegabile la portata del cambiamento segnata dall’avvento dell’islām. Muhammad, infatti, apporta delle profonde riforme all’organizzazione familiare pre-islamica: numerosi versetti del Corano e hadīt sono consacrati alla donna e alla famiglia. Attraverso il riconoscimento della personalità giuridica, la donna diviene un soggetto capace di decidere e, dopo le nozze, di amministrare i suoi beni in autonomia. Nel Corano si condanna energicamente l’infanticidio e vengono posti dei limiti al diritto dell’uomo di prendere più mogli, attraverso delle precise prescrizioni; si riducono gli abusi legati all’istituto del ripudio e si concede alla donna, a determinate condizioni, la possibilità di chiedere e di ottenere il divorzio. Tali riforme apportate allo statuto della donna rappresentano un progresso considerevole per l’epoca, facendo vacillare i costumi primitivi della società. Già al tempo del profeta, tanti furono i tentativi di reazione che tesero a minimizzare se non ad annullare la portata innovatrice della nuova situazione giuridica della donna, da parte dei partigiani delle tradizioni patriarcali; se, infatti, le prescrizioni relative allo statuto personale nelle società islamiche hanno ricevuto un’applicazione distorta, ciò è dovuto a tradizioni tendenzialmente maschiliste latenti, mai sopite, che hanno preso indebitamente il sopravvento, tradendo lo spirito egualitario del messaggio islamico. Ed è soprattutto nell’ambito delle relazioni matrimoniali, più che altrove, che si avverte il divario tra teoria e prassi: molte disposizioni šaraitiche, infatti, sono palesemente disattese venendo applicato il diritto consuetudinario locale. In particolar modo, i berberi, popolazione autoctona del Nord Africa, pur essendo stati islamizzati in seguito alle conquiste arabe del VII secolo, rimasero sempre legati alle loro consuetudini essenzialmente patriarcali.
Dunque, il diritto di famiglia islamico nell’area maġrebina, trova il suo fondamento, oltre che nella šarī‘a, di rito mālikita, nella consuetudine berbera preislamica. Tra l’una e l’altra fonte si sono realizzati fenomeni di osmosi, attraverso i quali elementi di origine consuetudinaria sono entrati a far parte del diritto musulmano; mentre, laddove la dottrina musulmana non ha metabolizzato la regola giuridica estranea, šarī‘a e consuetudine hanno convissuto insieme, a volte in una potenziale opposizione. Sebbene lo statuto personale è uno dei campi dove più forte è stato l’intervento normativo della legge divina, si deve constatare che quest’ambito è anche quello dove maggiori sono le discrepanze tra principi e prassi. I costumi berberi, infatti, hanno opposto un’invincibile
resistenza all’imporsi della šarī‘a, persistendo ancora oggi in tradizioni e usi locali, che si mescolano e si confondono a prescrizioni coraniche.
Dunque, è erroneo pensare che nelle società musulmane la pratica degli insegnamenti coranici sia osservata rigidamente: il più delle volte, quando queste prescrizioni non si adattano alla realtà sociale, vengono deformate o del tutto trasgredite.
I. 2 L’influenza occidentale
L’accelerato processo tecnologico ha reso forse più traumatico l’impatto del mondo arabo musulmano con la moderna civiltà occidentale; le sfide lanciate dalla modernità hanno imposto delle azioni riformatrici sul piano economico, politico, legislativo, demografico, educativo e culturale, che hanno avuto per modello il processo di modernizzazione occidentale.
Il diritto civile, pubblico, commerciale, penale dei paesi del Maġrib sono stati praticamente calcati sul modello francese, mentre il diritto di famiglia è rimasto inizialmente immune da ogni forma di penetrazione. La Francia, che costituì a partire dal 1881 un protettorato in Tunisia, si è astenuta dall’imporre la sua legge in materia matrimoniale, di divorzio, filiazione e successione. La potenza coloniale, infatti, non mostrò alcun interesse in merito e mantenne lo statu quo, venendo a mancare quello stimolo al cambiamento che invece si era realizzato nelle altre materie; cosicché, se da un lato i diversi settori dell’ordinamento giuridico furono riorganizzati attraverso delle leggi laiche e moderne, dall’altro restò in piedi un sistema caratterizzato dalla condizione di inferiorità della donna e dalla precarietà del legame coniugale: un diritto di famiglia che continuò ad attingere dal diritto islamico classico e da tradizioni ancestrali .
Tuttavia, l’influenza dei modelli europei nella codificazione del diritto islamico di famiglia, in particolare del Codice Civile francese nel caso della Tunisia, è indubbia e viene particolarmente enfatizzata da alcuni autori.
I. 3 Da Tāhir Al-Haddād, a Bourguiba e a Ben ‘Alī: Conservatorismo e Riformismo
Se il diritto di famiglia in Tunisia rimase, in una prima fase, estraneo all’influenza straniera che investì gli altri settori dell’ordinamento giuridico e ogni comunità continuò ad avere i propri tribunali e le sue leggi, è incontestabile che il periodo coloniale abbia influito sul modo di vita e i costumi soprattutto nelle città.
Infatti, il protettorato francese e l’impatto con l’occidente contribuirono sicuramente al sorgere delle correnti di pensiero che, scuotendo la società tunisina tradizionale, ispirarono un movimento progressista in favore della donna. Tāhir Al-Haddād, padre del femminismo in Tunisia, affermava
nel 1929 l’importanza dell’emancipazione della donna per la famiglia e l’intera società, rilevando come dall’istruzione e dall’educazione delle donne possa trarne profitto l’intera società.
Il velo, la claustrazione e l’istruzione delle ragazze sono i temi essenziali di cui discutono modernisti e conservatori all’inizio del XX secolo. Un dibattito che raggiunge l’apice nel corso degli anni ’30 in seguito alla pubblicazione del libro di Tāhir Al-Haddād dal titolo “Notre femme dans la législation et la société" . L’autore insorge contro il triste destino riservato alle donne dai musulmani e non crede che l’islām, nel suo messaggio originale rappresenti un ostacolo ai diritti delle donna . Non considera l’islām responsabile della miserevole e ingiusta sorte che alla donna è stata riservata, ma individua la responsabilità dei dottori della legge e le loro interpretazioni dogmatiche, non temendo di denunciare con forza il loro immobilismo. A causa delle sue idee all’avanguardia per l’epoca, l’opera suscita le ire dei conservatori, viene censurata e Tāhir Al-Haddād respinto dalla comunità dei fedeli e dei credenti, privato di tutti i suoi diplomi universitari, condannato dalle sfere ufficiali dell’università al-Zaytuna, alla quale gli è impedito l’ingresso. Abbandonato da tutti, la stampa lo presenta all’opinione pubblica come un apostata, un nemico dell’islām. Tāhir Al-Haddād può, a buon diritto, essere considerato il precursore di un’evoluzione che ha per oggetto lo statuto della donna; con la sua opera, ha prefigurato le linee essenziali delle riforme che trent’anni dopo, nella Tunisia indipendente, Bourguiba porterà avanti.
Una volta giunto al potere, il presidente Habīb Bourguiba forza il blocco conservatore dei dottori della legge e, durante trenta anni di potere, porta avanti una politica senza precedenti nel mondo arabo, soprattutto per le concessioni giuridiche riguardanti la donna. Il CSP è promulgato il 13 agosto 1956, giorno in cui ancora oggi, si celebra la "Festa della Donna". Esso opera, sul piano legislativo, una trasformazione radicale dello statuto giuridico della donna attraverso delle disposizioni fondamentali e innovative, per l’epoca e il contesto. Bourguiba non cessa nei suoi discorsi e interventi di sottolineare l’importanza della promozione della donna nella vita familiare, culturale, economica e politica di un paese; incoraggia le donne a uscire da sole e a studiare; afferma che la donna è un essere umano che ha diritto alla dignità e al rispetto e che "une société ne saurait être saine et équilibrée tant que la moitié du corps social, l’élément féminin, continue d’être asservi, exploité et humilié" .
Analizzando il CSP del 1956, il testo appare, nel suo insieme, fedele alle fonti del Diritto Islamico, e, per certi aspetti, innovatore attraverso un attento lavoro d’iğtihad. La referenza alle fonti coraniche, anche se non espressa in maniera esplicita nel testo legislativo, è costante ora nelle esegesi ufficiali del Codice ora nell’attività interpretativa della giurisprudenza.
L’azione di riforma è proseguita anche dopo "le changement historique" del 7 novembre 1987, quando divenne presidente Zayn Al-Âbidīn Ben ‘Alī, il quale non solo ha mantenuto le acquisizioni del CSP del 1956, ma ha fatto avanzare il processo di modernizzazione attraverso degli emendamenti, introdotti il 20 luglio 1993, riguardanti gli articoli relativi alla donna.
II La donna: fedeltà e innovazione nel csp
II. 1 La fedeltà alla šarī‘a
Riguardo agli obblighi personali tra i coniugi all’interno del matrimonio la Mağalla del 1956 conserva intatti i principi tradizionali fissati dalla giurisprudenza. Dall’art. 23, dedicato ai doveri coniugali, si evince che il matrimonio è fondato su dei rapporti ineguali: il marito è al di sopra della moglie, e in quanto chef de famille, deve provvedere ai bisogni materiali della sposa e dei figli; la donna, a sua volta, deve a lui obbedienza e sottomissione. La moglie nell’adempiere i suoi doveri deve attenersi a ciò che è conforme agli usi e alla consuetudine, rinviando direttamente e in maniera concisa alle regole del fiqh.
Si tratta di una concezione tradizionale attraverso la quale il legislatore garantisce l’interesse fondamentale della famiglia nell’unità e nella stabilità. Il marito è il capo della famiglia e in quanto tale ne ha tutti gli oneri: l’organizzazione della famiglia si fonda sotto la sua direzione.
L’art. 23 ha, tuttavia, rappresentato il cavallo di battaglia di associazioni e organizzazioni femministe tunisine che per anni chiesero la sostituzione del concetto di potestà maritale con nozioni di rispetto, aiuto e assistenza mutuale tra i coniugi.
Il 1993 fu l’anno della riforma: alcuni emendamenti furono introdotti nel Codice in favore della donna, esercitando un’influenza importante sugli equilibri all’interno del nucleo familiare. Le modifiche apportate dal legislatore sono legate ad un moderno dettato legislativo: il nuovo art. 23 attenua i diritti del marito, attraverso l’eliminazione del dovere di obbedienza della moglie; la relazione matrimoniale si ispira a principi quali il rispetto, la reciprocità e la solidarietà.
Si istaura una nuova concezione dei rapporti tra gli sposi: non più una netta separazione di ruoli e campi d’azione, ma una collaborazione nella conduzione del ménage. L’obbligo di cooperazione tra gli sposi ha trasformato la famiglia tunisina in una istituzione bicefala a servizio dei suoi membri e nell’interesse superiore dei figli. In questo nuovo senso, la Mağalla continua a riconoscere al marito
il ruolo di chef de famille esercitato non più come un diritto assoluto e arbitrario, ma, piuttosto, come un impegno, una responsabilità legata al dovere che sullo sposo incombe di provvedere ai bisogni della sposa.
Tuttavia, alcuni autori ridimensionano la portata di questi emendamenti sostenendo che la condizione della donna non é affatto cambiata. Il legislatore tunisino continua, infatti, a far diretto riferimento agli usi e ai costumi, e ad attribuire al marito il ruolo di chef de famille: il risultato è che l’uomo da un lato continua a mantenere le sue prerogative tradizionali, ad esempio esigere l’obbedienza, e dall’altro si riduce la sua responsabilità, per mezzo della nuova disposizione per la quale anche la moglie deve contribuire alle spese del ménage, se possiede qualcosa.
Dal punto di vista giuridico, la sottomissione della donna trova la sua causa e il suo fondamento nella corresponsione del mantenimento (nafaqa): assolutamente irrilevante è lo stato di bisogno della sposa, cosicché una donna ricca può a buon diritto pretendere di essere mantenuta dal marito.
Il mantenimento resta, come nella concezione classica del diritto musulmano, un dovere del marito, indipendentemente dalle sue condizioni economiche. L’inadempienza a questo obbligo può dar luogo alla domanda di scioglimento del matrimonio da parte della moglie. Il fatto che la donna lavori non dispensa il marito dal rispettare questo obbligo. Soltanto l’indigenza assoluta può esimerlo dalla corresponsione del mantenimento.
Questa situazione deriva direttamente dalla posizione preminente del marito all’interno della famiglia, di cui ha l’onere materiale.
La donna, inoltre, conformemente al diritto islamico classico, trova riconosciuta nell’art. 24 la sua completa autonomia patrimoniale. Il legame matrimoniale islamico non crea alcuna comunione di beni: ognuno dei coniugi conserva la proprietà e la piena disposizione dei beni che possedeva al momento del matrimonio e di quelli che acquista successivamente. La donna sposata, alla quale vengono riconosciute personalità giuridica e autonomia, ha la libera amministrazione del proprio patrimonio e può contrattare, tanto attivamente che passivamente, senza che le occorra l’autorizzazione del marito.
Dunque, una concezione, quella che regola i rapporti tra i coniugi, fedele, nonostante i timidi cambiamenti del 1993, al diritto islamico classico: come contropartita del mantenimento, spettante obbligatoriamente al marito, la donna deve rispettare l’uomo, al quale appartengono, come capo della famiglia, una maggiore autorità e responsabilità in merito alle decisioni più importanti.
Altri istituti, tuttavia, sono stati oggetto di riforme assolutamente radicali, le quali hanno contribuito a modificare la situazione della donna in rapporto al suo statuto anteriore.
II. 2 Le innovazioni del CSP
L’abolizione della poligamia costituisce, sicuramente, la riforma più audace alla quale si è spinto il legislatore tunisino. La completa interdizione si è affermata attraverso gli emendamenti del 1964 dell’art. 18. La Mağalla dichiara nullo e senza effetto, sul piano civile, ogni matrimonio con una seconda sposa, quando sussiste un primo contratto di matrimonio valido. La trasgressione comporta la prigione e/o il pagamento di un’ammenda pecuniaria.
La poligamia è l’istituto che sancisce in maniera chiara e significativa la sperequazione tra la posizione dell’uomo e quella della donna all’interno del matrimonio. Gli interpreti della Mağalla tendono a leggere questa riforma come fedele allo spirito dell’islām, attraverso un audace lavoro di iğtihād. Il permesso poligamico è una realtà indubitabile, che trova fondamento nel testo coranico nella sura IV, 3. Ma i riformisti interpretano tale versetto legandolo ad uno successivo (IV, 129) il quale sancirebbe l’interdizione stessa dell’istituto; anche se mosso dalle migliori intenzioni, l’uomo non è in grado di soddisfare la condizione di essere equo e giusto con le diverse spose: il trattamento eguale delle quattro spose si rileva, dunque, una utopia.
Risulta evidente come le riforme del legislatore tunisino sono state intraprese non affermando la separazione del diritto dalla religione, ma giustificandole nel quadro religioso, ossia nel quadro di una lettura nuova della šarī‘a .
La legge tunisina, inoltre, si distingue tra le legislazioni degli altri paesi islamici per l’abrogazione dell’istituto del ripudio, secondo il quale il marito poteva in modo del tutto arbitrario mettere fine al matrimonio. L’originalità del Codice tunisino sta nell’aver posto l’uomo e la donna su un piano di parità in materia di divorzio, mentre la šarī‘a riconosce solo al marito il diritto del ripudio privato unilaterale e non lascia alla donna che il ricorso al divorzio giudiziario in determinati casi. La Mağalla abolisce il ripudio, concedendo ai due sposi lo stesso diritto al divorzio ammesso soltanto in via giudiziale . Il divorzio può essere richiesto indifferentemente da uno dei due coniugi:
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per danno, in questo caso l’istanza di divorzio viene presentata da uno dei coniugi che si ritiene danneggiato dal comportamento dell’altro; la parte lesa deve produrre delle prove del danno, materiale o morale, subito; |
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per reciproco consenso; |
senza motivo, o come viene definito dalla giurisprudenza tunisina "per capriccio" in quanto il coniuge che richiede lo scioglimento del legame non è tenuto ad addurre giustificazioni
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alla decisione di divorzio, con l’obbligo per il congiunto richiedente di assumersi tutte le responsabilità, accollandosi l’onere di pagare i danni e indennizzare il coniuge dal quale vuole separarsi. |
Una riforma del codice nel 1981 ha toccato il divorzio senza motivo, l’equivalente, nella pratica, al ripudio giudiziario, soprattutto esercitato dagli uomini. Il legislatore, in questo caso, rompe il principio di uguaglianza, a favore della donna. Il domicilio coniugale appartenuto alla coppia generalmente viene concesso in uso alla moglie, in quanto, nella grandissima maggioranza dei casi, è ad essa che viene affidata la custodia dei figli. Quando subisce il divorzio, la donna è in diritto di domandare la riparazione del pregiudizio subito sottoforma di una rendita vitalizia che il coniuge, il quale ha avviato il procedimento di divorzio, deve erogare. È un’innovazione giuridica molto importante che non trova precedenti né legami con la tradizione classica.
Conclusioni
Il diritto di famiglia tunisino occupa un posto a parte nel mondo arabo-musulmano, costituendo per certi aspetti un unicum. La Tunisia si è dotata di un Codice nel quale l’audacia riformatrice si è spinta fino all’innovazione. Il legislatore tunisino non si è limitato a codificare lo statuto personale ma è voluto andare oltre, agendo sul contenuto stesso del diritto, modernizzandolo per fare evolvere la società. Attraverso tali riforme il legislatore anticipa una evoluzione delle mentalità, ancora latente in larghe fasce della popolazione. Il problema del riscontro pratico delle riforme attuate a livello legislativo può ricondursi su un piano giuridico e su uno sociologico.
La giurisprudenza gioca un ruolo fondamentale, sia nell’opera di modernizzazione del diritto e che nell’evoluzione della società, attraverso la sua azione interpretativa. Il legislatore tunisino si serve di un testo molto conciso e coltiva l’arte del silenzio e dell’ambiguità. L’indeterminatezza della materia costringe il giudice ad assumersi interamente la responsabilità del giudizio, sulla base delle sue convinzioni e della sua formazione. Il risultato purtroppo è contrario a quello sperato, poiché i giudici, per formazione e mentalità tendenzialmente conservatori, interpretano la legge nella maniera più vicina alla regola tradizionale, profittando delle faglie o lacune della Mağalla, per ristabilire il legame tra testi attuali e diritto musulmano classico, facendo della Legge musulmana una referenza ordinaria per interpretare e supplire i testi.
Bisogna notare che una forte volontà politica si è opposta a questa tendenza dopo la rottura politica con il movimento islamista, avvenuta alla fine degli anni ’80, insieme alla lotta aperta dichiarata contro questo movimento. Le camere dei tribunali relative allo statuto personale di Tunisi, fino a qualche anno fa presiedute solo da magistrati di formazione teologica, si sono aperte alle donne formate all’università, che non hanno esitato ad applicare la legge positiva. Ma bisognerà attendere
l’inserimento di questa nuova linfa all’interno della Corte di Cassazione perché si attui veramente una rottura. È inconcepibile che la giurisprudenza faccia della šarī‘a e del fiqh non soltanto una fonte storica del Codice di Statuto Personale, ma una costante referenza giurisprudenziale applicabile ancora oggi.
Il carattere immutabile di certi dogmi viene messo sistematicamente al primo posto quando si tratta dei diritti della donna. L’islām costituisce un alibi, un pretesto che taglia corto di fronte a qualsiasi discussione giuridica possibile, come una legge superiore alla legge.
Tutto ciò porta a ritenere che il CSP sia stata l’iniziativa audace, dipendente dalla volontà di un singolo uomo nel 1956, la conseguenza diretta di una scelta politica portata avanti da élites illuminate. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e le diverse Convenzioni Internazionali ratificate dalla Tunisia, si sono rivelate insufficienti a sradicare le disuguaglianze sociali, economiche e culturali nei riguardi della donna.
Tuttavia, il problema non è soltanto la clausola di diritto, ma piuttosto quanto essa sia veramente rispettata in una società che mantiene la maggior parte delle donne in uno stato di ignoranza, confondendo la tradizione con l’applicazione dell’islām. In realtà molte donne tunisine, che vivono in ambienti rurali o zone suburbane, subiscono la pressione culturale che le circonda e non conoscono i diritti che la legge stessa concede loro. Esse, infatti, non sempre avvertono come ingiustizia la diversità della loro condizione, ricevuta come abitudine culturale e disciplina sociale. La questione centrale resta dunque l’educazione e l’istruzione. L’attaccamento alla tradizione di ampi strati della popolazione è tale che tutti quei principi e valori di carattere patriarcale anziché vacillare nell’impatto con le profonde trasformazioni socio-economiche, si mantengono stabili, apparendo certi e definitivi. È solo una èlite, cittadina e illuminata, che accoglie i nuovi valori, che promuove la modernità, che subisce l’influenza delle norme internazionali ispirate all’uguaglianza e alla parità.
Basterebbe che la giurisprudenza, nella sua azione interpretativa, non considerasse come referente naturale e assoluto, la legge islamica, ma prendesse a riferimento anche le norme di diritto
costituzionale, restando fedele nell’applicazione dei principi di quelle Dichiarazioni Universali e Convenzioni Internazionali che la stessa Tunisia ha sottoscritto, per poter migliorare le condizioni della donna e aspirare ad una maggiore eguaglianza.
Per giungere ad una reale trasformazione, che investa anche quegli strati sociali rimasti "immuni" ad ogni riforma, è necessario che le acquisizioni del legislatore e i valori a cui si ispirano, siano assimilati dalla società, nella sua interezza. Occorre, dunque, che la società abbia il tempo di assorbire e far propri tali principi; e, secondariamente, che sia messa nelle condizioni per farlo, creando strutture adeguate e disponendo un sistema educativo efficiente, capace di far evolvere le mentalità e, con esse, la società intera.
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NOTE
* Il presente studio costituisce un approfondimento che prende spunto dalla tesi intitolata "L’equiparazione dei diritti e dei doveri dei coniugi. Dalla šarī‘a ai Codici di Statuto Personale contemporanei di Tunisia, Marocco e Algeria", discussa nel giugno 2003, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Palermo. La ricerca è stata condotta grazie a fonti, documenti e riviste messe a disposizione dal PISAI di Roma, dall’Università Orientale di Napoli, dal CeSDI di Palermo, dal Centre d’Etudes des Carthage di Tunisi e dall’IBLA di Tunisi. Tale studio, inoltre, si avvale di citazioni coraniche tratte dalla traduzione di A. Bausani 1996. La seguente sigla, CSP, rimanderà al Codice di Statuto Personale promulgato in Tunisia nel 1956, al quale si farà riferimento nell’edizione del 1993 in lingua francese, mentre gli articoli fatti oggetto della riforma del 1993, rimandano al testo del CREDIF 1997, sempre in lingua francese. Il metodo di trascrizione seguito è quello scientifico, ad eccezione dei termini che sono entrati nel vocabolario italiano, per i quali si è utilizzata la forma più comune.