Il concetto di democrazia(1) così come emerge negli articoli e nei discorsi del giovane Alcide De Gasperi (1881-1954) non viene spesso preso in considerazione nella complessiva riflessione politologica e storica dell’opera del grande statista trentino. Volontariamente o involontariamente, negli ultimi trent’anni è calato il silenzio su Alcide De Gasperi; alcuni politici e intellettuali lo hanno citato nei loro discorsi ma pochi hanno indagato a fondo i suoi scritti giovanili; altri pur rivendicandone l’eredità politica ne hanno perso l’essenza ultima. A cinquant’anni dalla morte di Alcide De Gasperi, avvenuta per crisi cardiaca il 19 agosto del 1954 a Sella di Valsugana, nelle "sue" Dolomiti, ci si può accostare, senza alcuna remora storiografica ai suoi scritti giovanili per approfondirne l’analisi di un tema così importante e delicato dal punto di vista del pensiero politico. Lo scorso anno, nel Cinquantenario della sua morte (1954-2004) si sono riproposte molte letture di Alcide De Gasperi, ma inevitabilmente, come già aveva fatto la storiografia precedentemente, ci si è per lo più concentrati sul De Gasperi antifascista, politico democristiano, statista della neonata Repubblica, europeista, dimenticando gli scritti del periodo trentino. Ciò è innanzitutto dovuto alla ricchezza della sua biografia umana e politica che rende difficile una ricostruzione complessiva della sua figura in un periodo storico denso di avvenimenti che ha mutato profondamente la storia e i destini dell’Europa e non solo. Alla luce di questa perdurante lacuna che sottovaluta e sminuisce la riflessione del giovane Alcide De Gasperi sembra utile rileggere gli scritti e i discorsi del periodo trentino per coglierne le riflessioni giovanili e i temi più interessanti che emergono. Nel presente lavoro intendo innanzitutto seguire il tema della democrazia, centrale già nelle prime riflessioni degasperiane, per utilizzarlo come filo conduttore di altri temi politici e sociali strettamente connessi al primo. Ne emergeranno molti tratti della sua cultura e della sua formazione giovanile, imbevuta della migliore cultura mitteleuropea. Questi frutti, per certi versi ancora acerbi, lo porteranno ad indagare, a leggere, ad approfondire, i grandi temi del dibattito politico, come giornalista prima, come saggista(2) dopo, senza dimenticare gli anni preziosi della "lunga vigilia" passati nella Biblioteca vaticana che gli permetteranno di approdare così ad una elaborazione complessa del cattolicesimo democratico, espressione e sintesi del pensiero sociale cattolico filtrato e arricchito da una vastissima cultura politica, nutrita dal pensiero cattolico liberale francese e della tradizione democratica anglo-americana. Per ripercorrere il tema e setacciare le parole del giovane De Gasperi mi sono servito della raccolta antologica curata dal prof. Gabriele De Rosa in anni ormai lontani, Alcide De Gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria. Antologia degli scritti dal 1902 al 1915 con i discorsi al parlamento austriaco, voll. I-II, Roma, Ed. di Storia e letteratura, Roma 1964. L’opera è probabilmente uno dei contributi più preziosi e rari per chi desideri affrontare lo studio del pensiero e della politica degasperiana. Le raccolte di scritti di De Gasperi fino al 1964 non risalivano oltre il periodo fascista; pertanto era molto difficile, prima della pubblicazione di questo testo, elaborare uno studio approfondito e complessivamente coerente. Gli scritti del periodo trentino infatti erano difficilmente reperibili e frammentati nelle biblioteche diocesane e nei fondi del parlamento austriaco. Questa antologia risale agli anni della formazione politica di Alcide De Gasperi, ai suoi discorsi e ai suoi articoli "preparati quando il Trentino era ancora sotto l’Austria, quando, tra Leone XIII e Pio X, il movimento della democrazia cristiana appena incominciava a fare capolino tra i cattolici trentini(3)". Tali documenti aiutano a capire i nessi fondamentali e permanenti del pensiero di De Gasperi, individuando le radici e la formazione dei suoi convincimenti colti e illuminati, del "primo atteggiamento cristiano e pacifista, assolutamente privo di indulgenze e concessioni alla propaganda sempre più baldanzosa e inquietante del nazionalismo(4)". Gli articoli e i discorsi sono tratti da "La Voce Cattolica(5)", "Fede e Lavoro", "Il Trentino(6)". Ma veniamo alla cronologia. Ho circoscritto la mia analisi prendendo come riferimento due anni: 1902 e 1915. Le date sono state assunte convenzionalmente sulla "linea del tempo" della vita del giovane Alcide De Gasperi. Nel 1902 De Gasperi ha 21 anni ed in quell’anno iniziano i suoi articoli del periodo trentino; nel 1915 ha 34 anni, la censura - dovuta alla Grande guerra - chiude forzatamente la stagione degli articoli trentini. In quegli anni De Gasperi ha già da tempo scoperto la sua "vocazione" politica, nel 1909 viene eletto consigliere municipale di Trento (ha 28 anni), dopo lo scioglimento del Parlamento, nelle elezioni del 13 giugno 1911 diventa deputato al Reichsrat, il grande Parlamento di Vienna, con il 75% dei voti, e infine nel 1914 deputato alla Dieta di Innsbruk (ovvero l’assemblea locale della provincia)(7) ma la sua carriera è ancora agli inizi.
Possiamo rintracciare una prima riflessione sul tema della democrazia già nel periodo universitario; i suoi scritti, non privi di un certo entusiasmo giovanile e di un generico patriottismo ideologico, tipico del tempo, sono ricchi di stimoli e riflessioni. Nonostante lo spessore delle considerazioni alla sua coscienza critica sfuggono talvolta la miopia politica e il nazionalismo clericaleggiante che attraversarono il movimento cristiano sociale austriaco e il Centro germanico da lui tanto ammirato.
Il giovane De Gasperi, nel discorso pronunciato al Congresso cattolico universitario che si tenne a Trento dal 28 al 31 agosto del 1902, delineava un programma dell’associazione universitaria. De Gasperi universitario si dichiarava esplicitamente cattolico, italiano e democratico. Le sue parole avevano un peso particolare all’epoca perché denotavano culturalmente e politicamente un ambito specifico(8). Nel discorso, che venne poi pubblicato dalla "Voce Cattolica" l’1-2 settembre 1902, De Gasperi spiegava cosa fosse il cattolicesimo: "O chiamate voi forse religione cattolica quelle quattro usanze rimaste per forza d’inerzia, come far battezzare i bambini, assistere a qualche funzione di parata e far posare la croce sul feretro, mentre la vita privata e pubblica è informata a principii pagani o a vieti compromessi, mentre i libri, la stampa quotidiana, l’arte, il teatro, le istituzioni sono separati da ideali che sono fuori o contro il cristianesimo? No, o signori, il cattolicesimo è qualche cosa di più integrale, non estraneo a niente di bene, avverso a qualunque male, una regola fissa che deve seguire l’uomo dalla culla alla bara, l’anima e il midollo di tutte le cose(9)".
Gabriele De Rosa ha spiegato che i cattolici trentini ritenevano possibile la difesa dell’italianità anche nel quadro istituzionale dell’Impero austriaco. Il criterio della nazionalità non doveva essere "tutto", e De Gasperi negava chiaramente che della nazione si dovesse fare una religione: "Difendendo la fede e i costumi dei padri, (si riferisce ai giovani cattolici) compiono il primo dovere che incombe ad ogni italiano che non abbia dimenticato Dante, Raffaello, Michelangelo, Manzoni per Proudhon, D’Annunzio o Zola, né san Tommaso per Kant o Nietzsche, né il nostro apostolo latino san Vigilio(10) per il teutonico Marx. La differenza capitale fra noi e gli altri è questa: gli altri coscientemente o no seguono un principio che si ripresenta sotto varie forme dall’umanesimo e dalla rinascenza in poi, per la quale una volta agli uomini fu Dio lo Stato, poi l’Umanità, ed ora è la Nazione. E come Comte e Feuerbach parlavano di una religione dell’umanità, così ora si parla d’una religione della patria, del senso della nazione, sull’altar della quale tutti i commemorati delle glorie altrui ripetono doversi sacrificare tutto e idee e convinzioni(11)". Le sue parole non potevano di certo piacere agli irredentisti. Dal pensiero di De Gasperi scaturisce infatti una nuova visione che non riteneva che la difesa dell’italianità e l’irredentismo dovessero essere necessariamente associati. Egli difese l’italianità del Trentino concretamente ed efficacemente senza essere irredentista, perché per lui cattolico non nazionalista e amante della pace, irredentismo significava odio fra popoli e guerra. Nello stesso "manifesto universitario" compare nuovamente la tensione democratica quando ricorda che: "il periodo universitario è fatale: dall’università si esce democratici o aristocratici già fatti", ma la sua scelta è nettamente democratica: "si vede […] oltre la barriera borghese venire una moltitudine di gente che vuole passare e si comprende la giustezza della tendenza, e allora si stende al di là la mano; vi fate a loro compagno e considerate tutta la vita come una faticosa erta su cui dovete salire voi e il popolo ad una meta comune(12)". La democrazia per De Gasperi deve essere la naturale condotta del cristiano: "Ma questo spirito democratico che ci anima, non è, o signori, una concessione alle tendenze di oggidì, ma un frutto di quel cristianesimo compreso socialmente, praticato dentro e fuori l’uomo, in tutta la vita pubblica(13)".
De Gasperi guarda le realtà passate, siano esse riflessioni dottrinali o fatti storici, come lenti per comprendere quelle attuali e queste a loro volta entrano a far parte giorno per giorno del suo modo di costruirsi una coscienza politica senza rifiutare aprioristicamente nulla che fosse prima osservato e analizzato da un punto di vista quasi neutrale. Questa sua prospettiva lo porta ad essere aperto alle voci di provenienza diversa che avessero potuto arricchire la sua maggiore comprensione di realtà differenti dalla propria, ma tutto questo non è disgiunto dalla sua profonda fede cristiana e dalla volontà di portare avanti un discorso di maggiore giustizia sociale e di istruzione civile.
In un bell’articolo titolato Tiriamo le somme pubblicato su "Fede e Lavoro" il 25 agosto 1905 De Gasperi affronta il tema del socialismo. Ha letto da poco la relazione ufficiale del Congresso socialista trentino (23 agosto 1905) convocato per appianare le divergenze dei due gruppi sindacali che si osteggiavano nei loro periodici "La Riscossa" e "Il Lavoro". De Gasperi ammonisce chi disprezza il socialismo trentino consigliando invece di contrastarlo rispondendo alle esigenze e ai bisogni dei lavoratori: "non vi è mezzo migliore per opporvi una diga che quello di prevenirlo nelle giuste rivendicazioni sociali del proletariato(14) - e continuando - Amici, non disprezziamo il socialismo, ma preveniamolo nella difesa sociale: preveniamolo nel campo economico! Noi, meglio del socialismo possiamo combattere le ingiustizie da qualunque parte vengano, noi, meglio dei socialisti possiamo opporci, anzi dobbiamo opporci a tutte le sopraffazioni dei grandi e dei piccoli, noi, seguaci di una religione che ha per fondamento la giustizia!(15)". Per De Gasperi a fondamento del suo agire stava il dovere morale di opporsi alle ingiustizie.
Il 1 settembre 1905 De Gasperi assumeva l’incarico di nuovo direttore de "La Voce Cattolica" sostituendo il dimissionario monsignor Guido de Gentili, ma è dalle pagine di "Fede e Lavoro" dello stesso giorno che possiamo capire la sua avversione per il radicalismo politico. L’articolo concerne la polemica sorta al comizio di Riva per l’Università di Trieste. De Gasperi è contrario alla cosiddetta formula del "Trieste o nulla(16)" e così spiega: "siamo persuasi che il radicalismo in politica è il più nefasto di tutte le questioni. Noi non siamo quindi per la formula radicale nella questione universitaria, non siamo per il "Trieste o nulla!" ché, come siamo persuasi che l’ascensione economica del popolo non può avvenire d’un colpo, ma giorno per giorno, - e in questo senso lavoriamo tenacemente - così siamo certi che anche politicamente il nostro paese potrà elevarsi solo allora, quando uomini coraggiosi sorgeranno e francamente romperanno le tradizioni della politica fin qui condotta(17)". Egli capiva che era necessario superare lo scontro contingente legato alle ideologie e alla politica della pochezza. Bisognava cercare di penetrare nell’intimo del proprio interlocutore ed arrivare attraverso il colloquio al centro vitale del pensiero dell’altro. Il dialogo, nascendo dall’incontro dell’uomo con l’uomo, in un sacrificio costante e paziente, poteva trovare quel filo di comunicazione che legando anche le persone più lontane e caratterialmente diverse permetteva una decisione mirante al bene collettivo. Per De Gasperi il radicalismo politico non portava a nulla ed era "l’ora di finirla con la politica degli avvocati, e dei dottori, che nulla hanno da perdere se la loro politica riesce male!(18)" per questo, dichiarando la politica del "tutto o nulla" insana e dannosa, appoggiava il discorso pronunciato dall’on. Mons. Delugan(19): "Meglio qualcosa oggi che niente domani, no ‘Trieste o nulla!’, meglio che i figli del nostro popolo, i quali un giorno saranno i nostri impiegati, quelli che salvaguarderanno i nostri diritti, i nostri interessi, piuttosto di dover emigrare in terre lontane ad attingere la scienza a fonte tedesca, possano restare a Trento, a studiare in Università nazionali che il Governo sarebbe disposto a darci, mentre non ce ne vuol dare assolutamente a Trieste. Pigliamo il poco, anziché il ‘nulla’ e poi rinvigoriti per quel poco, continueremo la lotta per avere il ‘tutto’(20)".
Su "Fede e Lavoro" del 22 settembre 1905 nell’articolo titolato Il paese e i contadini De Gasperi sulla scia del ‘Trieste o nulla’ critica i "politicanti da caffè" che furono capaci solo di "chiacchiere, di promesse, di grandi progetti". "Con la politica del ‘tutto o nulla’ bisogna finirla; bisognava capire una buona volta che con un Governo come il nostro, con partiti nemici come abbiamo noi, a dir ‘tutto o nulla’ ci restava e ci resterà sempre la seconda parte. Sono più di cinquant’anni che si fa questa politica e che cosa abbiamo? Nulla(21)". Questo articolo ci fa percepire la nuova tensione di De Gasperi e dei cattolici trentini, che vogliono un salto qualitativo, che preveda una pars costruens nella loro politica. L’articolo prosegue spiegando che d’ora in avanti doveva essere il popolo a fare politica: "D’ora in avanti la politica deve farla il popolo, deve dirigere lui le sorti del paese, lui, che è il primo e più interessato a che tutto vada bene! Contadini, capite? Siete voi ora che dovete incominciare una politica nuova dando un calcio a quella del ‘Trieste o nulla’. […] Fino ad ora si parlò sempre in nome vostro, si fece in nome vostro; e voi? Voi non ne sapete nulla! Voi eravate estranei, lasciati in disparte!(22)". Non va dimenticato che si era formata l’Unione politica popolare, un’associazione che aveva lo scopo di orientare e dirigere gli elettori nei momenti necessari e che pochi mesi dopo si sarebbe dato il via all’organizzazione del Partito popolare trentino. Fin da allora De Gasperi capisce l’importanza dell’organizzazione associativa, (per non parlare ancora di partito) che, ascoltando la pluralità delle voci della comunità, possa far maturare le coscienze attraverso uno sforzo educativo propedeutico all’evoluzione sociale.
Prese poi avvio una nuova battaglia, quella concernente il suffragio universale che si discuteva in Parlamento. De Gasperi dalle colonne de "La Voce Cattolica" del 7 novembre 1905 spiegava come si sarebbe dovuto preparare la massa al voto: "Accanto alle cooperative di credito, di consumo, di produzione, improntate a spirito schiettamente cristiano, devono fiorire i circoli di lettura e le società agricole operaie cattoliche, dove il popolo venga preparato con utili letture e conferenze alla sua missione altamente civile; e le masse, così disposte, devono poi raccogliersi nell’Unione politica popolare, espressione del loro pensiero, strumento della loro forza. […] Così saremo preparati alle lotte dell’avvenire, e le riforme politiche potranno trovare in noi non dei ritrosi e rimorchiati, ma dei convinti fautori, che se ne faranno un’arma di progresso civile e morale(23)". Ma è su "La Voce Cattolica" del 13 dicembre 1905 che si riferisce di un’assemblea per intensificare l’organizzazione dell’unione tra operai e contadini; si gettavano così le basi di un programma politico che aveva i suoi capisaldi nella riforma elettorale e negli errori della politica trentina: stava nascendo il Partito popolare trentino.
Intanto la "commedia" per il suffragio universale continuava. De Gasperi sottolineava che erano proprio liberali e nazionalisti i primi ad osteggiare la riforma, desiderosi di mantenere il vecchio equilibrio e preoccupati delle sue conseguenze politiche. "Il popolo - spiega De Gasperi ne "La Voce Cattolica" del 22 gennaio 1906 - nella sua maggioranza è cristiano nel senso integrale" e quindi con una riforma elettorale a suffragio universale avrebbe ottenuto una maggioranza "schietta e genuina" ma i liberali, che dovevano salvaguardare i loro seggi e il Governo, che voleva salvare i privilegi della nazione tedesca, strutturarono un piano per il suffragio universale diseguale, disegnando i collegi elettorali "più grandi e più piccoli a seconda della minore o maggiore importanza storica ed economica delle province". Ma, a scanso di equivoci, De Gasperi ricordava che, invece: "Nel programma dell’Unione politica popolare sta scritto e stampato che il nostro partito è fautore del suffragio universale ed eguale, senza distinzione(24)"; il 27 gennaio 1906 avrebbe motivato le rivendicazioni del suffragio universale riportando le parole di un onorevole: "Quando, o signori, si fa la leva militare, vengono forse chiamati a fare il soldato un ruteno, un croato e due tedeschi? Tutti contribuiscono allo stesso modo, tutti pagano l’imposta del sangue, tutti pagano le imposte indirette, tutti hanno quindi lo stesso ed eguale diritto di far parte della cosa pubblica. Ebbene venga quindi il suffragio universale, porti quella fratellanza, che è poi un cardine della divina religione di Cristo!(25)". Per la nostra ricostruzione è indispensabile approfondire l’articolo dal titolo Quello che vogliamo apparso su "Il Trentino"(26) il 15 maggio 1906. Il titolo prendeva spunto da un foglio di propaganda che l’Unione politica popolare diffuse in migliaia di copie e l’articolo sviscerava gli argomenti del programma del Partito popolare che venivano discussi in conferenze tenute dallo stesso De Gasperi. Nell’articolo, quest’ultimo, iniziava spiegando cosa fosse la Politica: "‘Politica’ vuol dire per i più: chiacchiere al vento, frasi senza costrutto, ciarlatanerie." – si rivolge agli abitanti delle valli, soprattutto contadini e operai – "E tuttavia che cos’è la politica? È l’arte di governare, dirigere lo Stato, gli enti pubblici. La politica si fa nei Parlamenti e nelle Diete, quando si votano i dazi, le imposte, il contingente militare, le leggi scolastiche, ecc. Dalla politica quindi dipendono gli interessi più gravi, più sentiti dell’individuo e del corpo morale. Da questo non si scappa: o la politica si fa, o la si subisce. Finora il contadino, l’uomo delle classi meno abbienti, l’ha subita. Ha dovuto pagare e piegarsi dinanzi a quelle leggi che hanno fatto gli altri per proprio interesse e, tolte poche eccezioni, contro l’interesse dei più." – ma siccome per De Gasperi idealità e pragmatismo non erano mai scisse va oltre – "Si può cambiare questo sistema? Sì, ma appunto col far politica. Parlando in generale, il popolo può far politica, usando l’arma del voto(27)". Successivamente l’articolo continua esaminando il sistema elettorale austriaco. Per De Gasperi, nonostante la maggioranza cattolica e democratica del paese, gli eletti in Parlamento "non rappresentano gli interessi della democrazia" perché "il sistema di eleggere i deputati è fatto in modo, che non il popolo indistintamente elegge gli ‘onorevoli’, ma alcune classi vi hanno preferenze e privilegi; […] gli abitanti dello Stato vennero divisi in diverse categorie: i buoni, i bravi, i meno buoni ecc. La bontà però commisurata sul possesso e sul denaro. Così sono sorte le ‘curie(28)’". L’Austria aveva un suffragio universale diseguale e per De Gasperi il sistema era ingiusto e si opponeva all’idea che chi pagava di più avesse maggiori diritti: "Il commisurare quindi il diritto di voto sulle imposte dirette, non è giusto […]" – inoltre per ribattere all’obiezione liberale che il voto di un contadino illetterato valesse meno aggiungeva – "Se votare volesse dire far le leggi, allora naturalmente l’avvocato le saprebbe fare meglio, ma per votare basta avere il buon senso di saper designare la persona migliore che ci saprebbe rappresentare". I contadini "ignoranti" votavano indirettamente attraverso l’elezione di alcuni procuratori ma De Gasperi si oppone perché spesso i procuratori tradiscono il mandato e poi questo tipo di elezione avendo influenza indiretta allontanava i contadini dal voto e dalla partecipazione politica: "Abbasso quindi il voto indiretto! Noi vogliamo il suffragio universale, eguale, diretto!(29)". Inoltre, vista la bassa partecipazione alle elezioni, (solo il 10% nelle elezioni precedenti) desiderava introdurre l’obbligo statale al voto, per innescare il circolo virtuoso della partecipazione politica dando rappresentatività ai contadini in Parlamento. Sempre nello stesso articolo De Gasperi suggeriva: "miglioramenti delle attuali leggi tributarie, che valgano a promuovere lo sgravio graduale dei meno abbienti" e dichiarava la necessità della riforma "dell’assicurazione", cioè chiedeva esplicitamente, per tutti, non solo l’assicurazione da parte dello Stato contro le malattie, gli infortuni ma anche l’introduzione delle pensioni per la vecchiaia: "Conviene che dopo una certa età (65 anni) lo Stato provveda che ogni uomo onesto e laborioso abbia da vivere. Questo si ottiene con l’assicurazione generale" – e aggiungeva inoltre la richiesta della – "fissazione di un massimo della durata del lavoro, a seconda delle professioni, in modo che sia assicurata la salute del lavoratore e che egli possa dedicare parte del suo tempo alla sua cultura morale ed intellettuale(30)".
Così fin dai primi passi nell’agone politico, la sua proposta politica diventa baluardo della tolleranza e quindi difesa della democrazia. La competizione con i liberali anticlericali diviene uno stimolo per De Gasperi e più in generale per i cattolici per studiare e proporre una piattaforma dottrinale e politica rispettosa e consapevole delle differenze. Il programma approda naturalmente ad una democrazia, non solo in termini politici, come allargamento delle basi consensuali e partecipative delle forme di governo ma soprattutto in termini sociali ed economici, attraverso la predisposizione di strumenti che consentissero l’elevazione delle classi rurali locali. In questo modo, come ha acutamente rilevato Scoppola, il rapporto fra democrazia sociale e democrazia politica in De Gasperi è rovesciato rispetto a quello tradizionalmente proposto dal cattolicesimo sociale; la democrazia politica è la premessa di una crescita reale delle classi lavoratrici.
Parlando per iniziativa dell’Unione politica popolare dei partiti politici trentini, De Gasperi sottolineava i limiti dei liberali e dei socialisti: "Quale è il loro liberalismo nel campo morale-religioso, nel campo politico sociale e in quello economico? Per la maggior parte d’essi Hobbes, Locke, Spinoza, Rousseau, Smith e Ricardo, che sono i capiscuola del liberalismo nei vari campi, sono tanti Carneade. Pochissimi, e parlo della gente colta, ne conoscono i programmi o le idee. Una delle cause di questo beato empirismo che domina tra i liberali è certo il fatto che tutte le loro vecchie dottrine fecero bancarotta. […] Il liberalismo politico ha condotto all’ultrapotenza dello Stato, quello politico-ecclesiastico al cesaro-papismo o alla separazione della Chiesa dallo Stato che equivale, nell’Europa latina almeno, ad oppressione, il liberalismo economico ha condotto alla schiavitù del capitalismo(31)". Passava poi ai socialisti: "i socialisti da noi sono di nuovo una specialità che ricorda poco il socialismo teorico. Svanite per forza di cose e di quattrini le parole d’ordine contro la borghesia e il capitalismo trentino, che cosa è rimasto della dottrina socialista?". Terzi nella classificazione comune i cosiddetti clericali; De Gasperi continua l’analisi sui mutamenti politici spiegando che il loro movimento era ben lontano dal clericalismo. A proposito del clericalismo così chiarisce: "clericalismo il quale sarebbe l’abuso della religione per scopi politici. Questa definizione io accetto volentieri, perché sarà facilmente dimostrabile che i clericali non siamo noi. Sapete chi era un clericale, secondo questa definizione? Era clericale il sommo sacerdote Caifas, il quale abusò della religione per mantenere la sua influenza ed accusò Cristo di ribellione alla religione ebrea ed al popolo romano, confondendo religione e politica a seconda che gli giovava. Ma noi non siamo clericali, noi seguaci di quel Cristo che insegnò: "Date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio". […] il nostro clericalismo non è che la difesa e la rappresentanza degli interessi religiosi nella vita pubblica(32)".
Il 7 febbraio 1907, "Il Trentino" pubblica un ampio riassunto e brani della relazione tenuta da Alcide De Gasperi in vista delle imminenti elezioni all’Unione politica popolare. Si chiarisce l’importanza del partito: "Il partito fu nel concetto di molti ed è altrove forse ancora sinonimo di fazione, discordia, pregiudizio. La vita politica moderna lo ha però reso necessario, le costituzioni più avanzate ne tengono già conto come di un ente giuridico-sociale nell’organismo dello Stato: il ministro della giustizia del Belgio appoggiando la nota legge del suffragio proporzionale che espressamente presuppone i partiti, respinse i rimproveri dell’individualismo liberale sentenziando: ‘les partis sont nécessaires dans la vie politique et parlamentaire’"; poi, passando a parlare specificatamente dell’organizzazione "nostra", spiega il nome di "popolare": "lasciate cadere tutte le altre denominazioni, abbiamo scelto quella di popolare, nome che fissa il carattere della società. Popolare perché vuol essere organizzazione di popolo e di politica democratica, popolare, perché pur volendo propugnare gli interessi di tutte le classi, non si lega più specialmente ad alcuna, ma chiama alla rappresentanza ed alla vita politica tutto il popolo trentino nella sua fede cristiana, nell’italianità della sua famiglia, nella varietà delle sue energie economiche".
Il 6 marzo 1908, De Gasperi scrive del lavoro dei socialisti, ed esorta "cattolici e democratici" a "combattere il socialismo in nome del cristianesimo e della democrazia della quale il partito socialista è la degenerazione più continua e più concreta. Il socialismo nostrano, qualunque esso sia, ha sempre e dovunque portato l’effetto di demoralizzare le masse, di fanatizzarle nell’odio"; ai cattolici trentini dava il merito di lavorare più di altri al risorgimento industriale del paese ma questo era possibile "solo se accompagnato dall’elevazione verso un cristianesimo e un ‘trentinismo’, per dir così, integrale dell’operaio, il quale deve vedere in questi uomini non dei nuovi alleati all’esercito internazionale dei ‘padroni oppressori’, ma dei collaboratori al benessere economico del nostro popolo(33)".
Sulle pagine de "Il Trentino" del 20 febbraio 1909, Alcide De Gasperi propone alcune considerazioni sulla guerra. In quei giorni infatti si percepiva un diffuso allarme circa un imminente guerra a causa del fermo atteggiamento austriaco nei confronti delle mire territoriali della Serbia, irritata dalla dichiarazione austriaca di annessione della Bosnia Erzegovina. De Gasperi sottolinea preoccupato: "con quanta leggerezza certa stampa guerrafondaia parli di un avvenimento che, comunque finisca, sarà un nuovo flagello per la società intera ed una sventura per i contendenti. Le vittime di Marte, lo strazio delle famiglie, la perdita per la civiltà e per il progresso di uno Stato e di tante energie giovanili, non sembrano gran cosa per chi presume di rappresentare gli interessi collettivi, il cosiddetto onore nazionale, o la boria di una classe sociale(34)".
Superata la crisi internazionale ed esclusa la guerra De Gasperi, parlando della "situazione europea" il 1 aprile 1909, profetizzerà: "Se non si troverà una via d’intesa, quel giorno che le Potenze si sentissero così forti da poter scendere in campo per tentare il supremo duello; quel dì da un accidente qualsiasi, reale o creato e gonfiato a bella posta, si svilupperà un disastroso incendio come forse non fu mai visto l’eguale".
Per capire la riflessione giovanile di De Gasperi su liberalismo, socialismo e cattolicismo ritengo utile riportare qui larga parte dell’articolo Dalle trincee scritto su "Il Trentino" il 1° maggio 1909. De Gasperi sostiene che il 1° maggio non sia solo una festa del socialismo e critica la "filosofia pratica", tana comoda dell’egoismo di chi, una volta passati i chiassosi e furenti battaglioni operai, se ne lava le mani dicendo "è passata anche questa". Per questo motivo De Gasperi spiega:
Codesti filosofi appartengono in genere al liberalismo, non a quello di Adamo Smith o di Davide Ricardo, ma a quello più semplice e più comodo di Gournay(35), quando disse a Luigi XIV: Laissez faire, laissez aller, le monde va de lui même. - E badano ai fatti loro, sorpassando tutto l’anno ai fatti sociali, o avvertendone qualcuno come fenomeno immediato, quasi un temporale che scroscia e diluvia per dieci minuti e poi se ne va com’era venuto, senza si sappia donde, dove e perché. Costoro stanno a vedere anche oggi come sempre dalle finestre, noi invece guardiamo e consideriamo dalle trincee. Per noi che combattiamo da tempo nella vita sociale la dimostrazione non è un fenomeno isolato, ma un effetto di cause note, noi sappiamo donde vengano quei lavoratori, perché abbiamo issata quella bandiera, perché applaudano al nuovo vangelo della rivoluzione sociale. Il socialismo e il movimento socialista hanno perduto per noi quell’impronta di fenomeno elementare che ha incusso tanta paura ed ha provocato tante repressioni. […] Se il movimento socialista fosse creato semplicemente da Lassalle(36), Jaurés(37), Adler(38), Costa(39), Hyndman(40), ecc., ci dovremmo spaventare dei suoi progressi, come dovremmo meravigliarci se le cause prossime economico-sociali che ne hanno favorita la diffusione, non fossero già superate dall’evoluzione economica sopravveniente. […] Ricordiamo ancora la creazione della borghesia bancaria inglese accanto ai Lords nelle cui mani verso la fine dell’Ottocento si accentra la grande proprietà terriera, la bancarotta del capitalismo di borsa di Colbert e contemporaneamente la vittoria della filosofia enciclopedistica fino a Rousseau, propugnatore della libertà umana assoluta entro la quale il progresso e il bene sono sicuri, ed ispiratore della dichiarazione dei diritti dell’uomo che dal 1789 in poi ha fatto il giro del mondo.
Alla grande rivoluzione sociale seguì un’era che parve precipuamente politica e fu invece il periodo della preparazione dei grandi conflitti sociali. Non fate le meraviglie di certe incongruenze che trovate nei principii del movimento socialista. Per quanto abbiano travestita la forma loro, vi ravviserete sempre in fondo i prodotti delle officine filosofiche del secolo XIX.
Vi pare strano che accanto al supremo postulato del collettivismo assorbitore e centralizzatore venga accarezzato lo spirito individualista fino all’anarchia? Eppure non sono in fondo che le due correnti di Kant e di Hegel che vennero ad incrociarsi, a stranamente fondersi in Lassalle, come la concezione materialista di Marx era stata preceduta dalla filosofia di Feuerbach e come i principii economici di Engels e Brousse, Hyndman risalgono ai liberali inglesi.
È tutta una grande officina in cui si lavora dal Rinascimento in qua, lavoro che ha i suoi effetti sociali, quando nel secolo XIX nell’ambito dell’economia familiare e pubblica si va costituendo, per la trasformazione tecnica delle industrie, il quarto stato. Venne su questo proprio quando la legislazione liberale aveva distrutto ogni organismo sociale ed all’assolutismo centralizzatore era seguito il dominio dello stato borghese, oligarchico e spogliatore. Dovremmo meravigliarci noi se il primo impulso della reazione fu la riorganizzazione sociale? Rispetto allo stato liberale ed individualista, ed all’egoismo della classe industriale una sola potenza sarebbe stata in grado di compiere il necessario lavoro di riorganizzazione e di riforma, senza scuotere i cardini dell’ordine sociale, la Chiesa. Ma da tre secoli il liberalismo al potere le aveva strappato ad uno ad uno i mezzi d’influsso sociale e proprio nel momento critico, quando il quarto stato alzando la testa, chiedeva giustizia e riforme sociali, i nuovi parlamentari s’occupavano di legislazione anticlericale ed antichiesastica. Chi sa dire, per esempio, quale movimento avrebbero creato le dottrine di Ketteler se la sua scuola non fosse stata ritardata per quindici anni dal Kulturkampf? Così la Chiesa e i cattolici dovettero e devono tutt’oggi combattere su due fronti, dividendo così quelle forze che applicate tutte e a tempo sul terreno sociale ed economico avrebbero dato diverso indirizzo a tutto il movimento democratico ed all’opera di riorganizzazione. Infine in tutti questi secoli che ci hanno fruttato il socialismo vediamo che ‘le dottrine religiose pervertite corrompono le istituzioni sociali in senso antipopolare e che poi, in causa delle stesse dottrine, il popolo reagisce con le organizzazioni rivoluzionarie’. Il nostro dovere è quindi chiaro e deve riguardare tanto le istituzioni quanto l’individuo. Fu questo specialmente il compito dei cattolici negli ultimi cinquant’anni di azione sociale. I risultati del lavoro ci incoraggiano a perseverare(41).
Il 24 luglio 1909 De Gasperi contesta vivacemente Benito Mussolini(42) che su "L’Avvenire del Lavoratore" il 22 luglio aveva polemizzato e attaccato "il grande cadavere", la Chiesa, con toni anticlericali molto provocatori. De Gasperi risponde astutamente che a contraddire le sentenze mussoliniane "s’è incaricato uno dei più autorevoli socialisti austriaci, il dr. Renner(43), nella rivista socialista "Der Kampf""; secondo Renner infatti la tattica socialista di attaccare la Chiesa e le sue dottrine era sbagliata. "Il socialismo, secondo Renner, deve semplicemente dedicarsi alla lotta di classe. Bisogna creare la libertà economica. Si vedrà poi quali piante fioriranno su questo nuovo terreno, quale nuova coscienza religiosa si formerà. Ma oggidì non si deve spingere l’operaio ad una lotta con la sua fede" e De Gasperi conclude: "il Renner per suo conto ritiene che l’evoluzione economica, prodotta dalla lotta di classe, scuoterà anche le basi della Chiesa cattolica. Ma quale differenza fra il suo modo di giudicare e quello dei nostri giacobini! Quale indipendenza marxista di fronte alla schiavitù volteriana degli anarcoidi dell’Avvenire!(44)".
Su "Il Trentino" del 1909 alla vigilia del XII Congresso dell’Associazione universitaria cattolica trentina De Gasperi affronta le insidie degli ideali di libertà e di patria che facilmente "degenerano" nelle menti dei giovani. Per evitare queste degenerazioni allora: "I giovani devono avvezzarsi per tempo all’analisi della vita popolare, a penetrare coll’occhio della mente nel labirinto delle cause e dei rapporti sociali. Solo con tale studio e con tale osservazione comprenderanno anche il popolo trentino e la sua vita pubblica, le sue debolezze e le sue energie, che sapranno più tardi compatire o, rispettivamente, guidare(45)".
Il 21 febbraio 1911, "Il Trentino" pubblicava un ampio riassunto di una relazione di De Gasperi nella quale era affrontato nuovamente il tema della rappresentanza proporzionale: "Non solo tutti devono poter amministrare o influire sulla amministrazione del comune, ma anche tutti in proporzione secondo gli interessi e in ciò sta la questione della rappresentanza proporzionale. Finora ha governato la minoranza non solo perché il voto era restrittivo, ma anche perché domina il principio che uno più la metà degli elettori mandassero in Comune tutti i consiglieri. Cioè secondo il principio di maggioranza un consigliere veniva eletto quando riceveva un voto più della metà dei voti, e un altro non veniva eletto se ne aveva uno meno della metà. Per questo un partito vinceva per pochi voti, l’altro per pochi voti era battuto. Tale principio si potrà discutere quando si trattasse di soli indirizzi politici, ma quando si tratta degli interessi nostri, non deve valere. Non è una maggioranza di partito, che ci occorre, ma una proporzionale rappresentanza degli interessati. Quindi domandiamo non solo l’allargamento del voto, ma domandiamo la proporzionalità fra i singoli gruppi d’interessi che si presentano(46)". Nella stessa relazione De Gasperi domandava che: "si introducesse il voto femminile(47) diretto perché quella delle procure è una vera miseria morale. […] è meglio che le donne vadano colla scheda in un luogo loro prescelto e gettino questa scheda nell’urna elettorale, come fanno per esempio nella Svizzera e nel vicino Vorarlberg, o che si continui la bella pratica che tutti i partiti facciano della donna un oggetto di conquista e d’insidia? […] Combattendo per il voto femminile diretto, noi combattiamo per una causa di libertà e di democrazia(48)".
Ed ancora nell’appello per le elezioni politiche redatto da De Gasperi e pubblicato il 12 maggio 1911 leggiamo: "Vogliamo un Parlamento democratico che lavori per il popolo, non l’assolutismo militarista ed accentratore. […] Ora noi non vi chiediamo che un atto di sincerità e di franchezza: giudicate della vita pubblica come giudichereste della vita privata. Pensate dello Stato come pensate della vostra famiglia e, come elettori e cittadini, esprimete la stessa volontà che manifestate come padri di fronte all’avvenire dei vostri figli(49)".
Ma De Gasperi investiva parte delle sue analisi anche nell’autocritica, come nell’articolo titolato Il dito nella piaga del 28 giugno 1911: "siamo ancora troppo pochi democratici (si riferisce all’Unione popolare e alla sua direzione). Non basta l’azione per il popolo, è necessario l’educazione e l’azione del popolo(50)".
In seguito all’attentato avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914, nel quale rimasero uccisi l’arciduca ereditario d’Austria Francesco Ferdinando e sua moglie, ed in seguito alla mancata accettazione dell’ultimatum austriaco del 23 luglio, l’Austria il 28 luglio 1914 dichiarava guerra allo Stato balcanico. Iniziava così la Prima guerra mondiale. Dal 5 agosto 1914 entra in funzione la censura su tutti i giornali, non solo per le notizie militari ma anche per gli apprezzamenti politici e locali. De Gasperi sarà meno libero di scrivere ma acutamente il 6 agosto 1914 ricorda che: "le ragioni profonde della guerra non sono visibili attraverso il diaframma della storia contemporanea; occorre risalire più in alto, a Dio che conduce i destini dei popoli secondo un disegno inaspettato e ineffabile(51)". Ed eccoci all’epilogo, con questo monito si chiude la nostra ricostruzione del tema della democrazia negli scritti del giovane De Gasperi.
Alla luce di questa ricognizione, è ora necessario per chiudere il cerchio, tornare alla questione dalla quale eravamo partiti per interrogarsi in che termini vada inserito il termine democrazia nella riflessione del giovane Alcide De Gasperi. È ormai chiaro che la sua assunzione del concetto di democrazia vada collocata nella sua formazione universitaria giovanile. Maria Romana De Gasperi ci ha spiegato che l’aver passato la giovinezza sotto l’Impero Austro-ungarico, che racchiudeva nel suo seno tanti popoli, tante culture, tante lingue e religioni diverse, ha inciso profondamente sulla sua forma mentis facendogli prendere coscienza della necessità dell’ascolto tollerante di tutte le voci. Con brillante lungimiranza rispetto ai ceti borghesi De Gasperi e la sua "idea popolare" comprenderanno che Stato e nazione non dovevano necessariamente identificarsi e coincidere; cioè lo Stato non doveva esplicarsi nella mononazionalità e circoscrivere nei suoi confini una realtà nazionale in ambito ristretto ma avrebbe potuto comprendere e integrare più etnie o realtà nazionali. Questa presa di coscienza restituisce allo Stato la sua funzione di strumento organizzativo giuridico di garanzia, tutela e stimolo, contro la teorizzazione dello stesso come espressione della potenza e della forza della nazione, spazzando via il nazionalismo accentratore che si macchiava della destabilizzazione dei sistemi parlamentari e delle guerre.
De Gasperi fin da giovane sembra accettare implicitamente la tesi bergsoniana, proposta nel 1945 in Cristianesimo e democrazia da Maritain, della concezione della democrazia come "essenzialmente evangelica" e così la sua riflessione collega i principi democratici con le prospettive della giustizia sociale, racchiudendo e facendo convergere i valori della democrazia liberal-garantista e i contenuti di un efficace progresso sociale(52). Il concetto di libertà è un concetto mutuato dall’etica cristiana, esso viene considerato un diritto che precede qualsiasi organizzazione concreta e deriva immediatamente dall’essere la persona umana titolare di un disegno di vita esclusivo(53). Pertanto la libertà sociale rosminianamente intesa renderà tutti i cittadini, indistintamente, fine e nessuno di essi potrà mai essere considerato come un semplice mezzo al bene degli altri. La garanzia della corretta esplicazione della libertà è assegnata allo Stato, inteso come ordinamento nel suo complesso formato dai soggetti che di esso esprimono la volontà, De Gasperi assume questa impostazione dalla sua formazione austriaca che assegna un peso notevole al rispetto delle regole formali quale sistema di convivenza. Le persone e le società naturali sono soggetti di diritti originali che precedono lo Stato-ordinamento; lo Stato può limitarsi a riconoscere o a regolarne l’esercizio di tali diritti fissando i confini e i perimetri dello spazio d’azione. De Gasperi rompe la contrapposizione di classe, con un nuovo componimento cooperativo in direzione di una sintesi che conducesse all’avanzamento, all’equilibrio e alla giustizia sociale. L’associazione e poi il partito diventava così l’elemento di mediazione e ricomposizione dei conflitti. La sua democrazia è una democrazia rappresentativa, espressa dal suffragio universale, fondata sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri ed animata dallo spirito di fraternità che è il sale della civiltà. Una società integrale dove gli interessi distinti e opposti si possono armonizzare senza individualismi o frizioni estreme poiché le interazioni convergono al fine ultimo del bene comune. Solo così si sarebbe potuta costruire una società capace di superare insieme ideologia e pragmatismo e nella quale l’uomo non animato da un interesse individuale o di gruppo o dalla volontà di perseguire un modello ideale astratto, avrebbe perseguito in solidarietà con gli altri uomini la felicità personale conseguibile nell’ordine naturale attraverso la sintesi e l’armonizzazione dei valori parziali per approdare ai valori supremi e incontrovertibili.
Ringrazio la Fondazione Alcide De Gasperi e il suo presidente, il senatore a vita Giulio Andreotti, e la dott.ssa Maria Romana De Gasperi per le interviste concessemi al fine di un migliore inquadramento della figura e dell’opera di Alcide De Gasperi.
Un ringraziamento anche al professor Pietro Scoppola per gli interessanti suggerimenti bibliografici e alla professoressa Anna Maria Lazzarino Del Grosso per la disponibilità e la pazienza manifestatemi.
Nicola Carozza
NOTE
(1) Sul tema si vedano: A. De Gasperi. Bibliografia, a cura di M. Romana De Gasperi, Brescia, Morcelliana, 1980 (purtroppo aggiornata al 1980); l. valiani, L’avvento di De Gasperi, Torino, Francesco De Silva, 1949; a. de gasperi, Studi e appelli della lunga vigilia, Rocca San Casciano, Cappelli, 1953; i. giordani, Alcide De Gasperi, il ricostruttore, Roma, Ed. Cinque Lune, 1955; k. adenauer, Testimonianze su De Gasperi, Torino, Spinardi, 1956; g. galori, De Gasperi al parlamento austriaco (1911-1918), Firenze, Parenti, 1953; AA.VV., Aspetti della cultura cattolica dell’età di Leone XIII, Ed. Cinque Lune, Roma, 1961; m. demottè, De Gasperi all’alba del XX secolo, Trento 1962; g. andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Mondadori, II° Ed., 1964; a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria. Antologia degli scritti dal 1902 al 1915 con i discorsi al parlamento austriaco, I e II volume, Roma, Ed. di Storia e letteratura, Roma 1964; m. r. de gasperi, De Gasperi, uomo solo, Milano, Arnoldo Mondadori 1964; p. ottone, De Gasperi, Milano, Della Volpe Editore, 1968; g. sartori, Democrazia e definizioni, Bologna, 1969; p. scoppola, La democrazia nel pensiero cattolico del Novecento, in AA.VV., Storia delle idee politiche economiche e sociali, diretta da L. Firpo, vol. VI, Il secolo ventesimo, Torino, UTET, 1973; e. carrello, Christian Democracy in modern Italy, a topical history since 1861 , New York University press, 1974; g. andreotti, Intervista su De Gasperi, Roma-Bari, Laterza 1977; p. scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, Il Mulino 1977; f. malgeri, Storia del movimento cattolico in Italia, vol. V, L’età di De Gasperi, Roma, Il Poligono, 1981; f. traniello, g. campanini, Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 5 voll., Torino,Marietti, 1981-1984; e. fattorini, Il cattolicesimo politico tedesco. Il partito del Zentrum in AA.VV., Cultura politica e società borghese in Germania fra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1985; g. andreotti, De Gasperi visto da vicino, Milano, Rizzoli 1986; AA.VV., Storia della Democrazia Cristiana 2° vol. 1945-1954 De Gasperi e l’età del Centrismo, Roma, Ed. Cinque Lune, 1987; p. hamel, Partecipazione e democrazia in Luigi Sturzo e De Gasperi, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1989; f. malgeri, Chiesa, cattolici e democrazia da Sturzo a De Gasperi, Brescia, Morcelliana, 1990; e. a. de pirey, De Gasperi, Milano, Ed. San Paolo 1992; l. bedeschiI, Murri Sturzo De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898 - 1906), Torino, San Paolo, 1994; AA.VV., "La Rerum Novarum" e il movimento cattolico italiano, Brescia, Morcelliana, 1995; e. nassi, Alcide De Gasperi, l’utopia del centro, Firenze, Giunti, 1997; f. malgeri, La democrazia e il senso del servizio, Ricerca, 9/2002, p. 21; m.r. de gasperi, Mio caro padre, Genova-Milano, Marietti, II Ed.2003; a. canavero, Alcide De Gasperi cristiano, democratico, europeo, Rubbettino, 2003; fondazione alcide de gasperi, Alcide De Gasperi. Un europeo venuto dal futuro, catalogo della Mostra Internazionale (14 ottobre – 20 dicembre 2003), Rubbettino 2003; a. airò, Alcide giovane Leone, "Avvenire", 1 agosto 2004, p. 17; v. burco, La mediazione "asburgica", Enne Effe, dossier, n. 8/2004, p. 43; g. galloni, Attualità del pensiero di Alcide De Gasperi, Enne Effe, dossier, n. 8/2004, p. 9; p. scoppola, "Lectio magistralis" su Alcide De Gasperi, letta il 19 agosto 2004 a Borgo Valsugana per la celebrazione del cinquantenario della morte.
(2) I saggi di Alcide De Gasperi sono raccolti in a. de gasperi, I cattolici dall’opposizione al governo, Bari, Laterza 1955.
(3) A. De Gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria. Antologia degli scritti dal 1902 al 1915 con i discorsi al parlamento austriaco, I vol., cit., p. VII
(4) Ibidem.
(5) Giornale diocesano diretto da don De Gentili.
(6) Nel maggio del 1906 "La Voce Cattolica" cambia il proprio nome in "Il Trentino", distaccandosi dalla curia.
(7) e. a. de pirey, De Gasperi, cit., pp. 24 e 44.
(8) Il nome di De Gasperi infatti fu scritto infatti tra i sospetti irredentisti nei registri della polizia di Trento.
(9) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, cit., pp. 23 e 24.
(10) San Vigilio, Vescovo di Trento e patrono nella città. Nato da famiglia romana trasferitasi a Trento verso il 364. Fu martirizzato in val Rendena nel 400 o 405. Sepolto presso l’attuale duomo di Trento, il suo culto si diffuse in tutta Italia.
(11) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, I vol, cit., p. 26.
(12) Ivi, p. 27.
(13) Ibidem.
(14) Ivi, p. 54.
(15) Ibidem.
(16) L’on. Giuseppe Stefanelli (1868-1948) che faceva parte dell’ala sinistra del partito liberale alla Dieta di Innsbruck nel suo intervento al comizio di Riva si dichiarò per "Trieste o nulla".
(17) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, I vol, cit., p. 63.
(18) Ibidem.
(19) Mons. Baldassarre Delugan (1862-1934), fu uno dei primi fautori del movimento cattolico italiano. Parroco decano a Vigo di Fassa fu eletto deputato al parlamento per la quinta curia e nel 1908 fu eletto deputato anche alla Dieta di Innsbruck.
(20) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, I vol, cit., p. 64.
(21) Ivi, p. 78.
(22) Ivi, p. 79.
(23) Ivi, pp. 98-99.
(24) Ivi, p. 115.
(25) Ivi, p. 121.
(26) "La Voce Cattolica" cambiò nome in "Il Trentino" staccandosi dalla Curia e combattendo ogni tentativo delle società pangermanistiche, il primo numero usciva il 17 marzo 1906.
(27) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, I vol., cit., pp. 155-156.
(28) ‘Curia’ nel significato di allora, valeva come classe, ceto.
(29) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, I vol., cit., p. 157.
(30) Ivi, p. 160.
(31) Ivi, p. 203.
(32) Ivi, p. 205.
(33) Ivi, p. 287.
(34) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria. Antologia degli scritti dal 1902 al 1915 con i discorsi al parlamento austriaco, II volume, Roma, Ed. di Storia e letteratura, 1964, p. 16.
(35) Vincent de Gournay (1712-1759), noto economista francese, fu tra i fondatori con Quesnay e Turgot della scuola dei fisiocratici e teorico del liberismo economico.
(36) Ferdinando Lassalle (1825-1864) fu tra i capi del movimento rivoluzionario tedesco del 1848. Autore di opere filosofiche ispirate all’hegelismo, si dedicò all’organizzazione del movimento operaio tedesco. Politicamente la sua posizione fu vicina al socialismo riformista e fu criticata dallo stesso Marx.
(37) Giovanni Jaurés (1859-1914) storico, filosofo e politico francese, deputato socialista nel 1883, nel 1889 condusse durante l’"Affare Dreyfus" una violenta lotta contro il clericalismo ed il militarismo. Nel 1914 fondò l’"Humanité" ed in seguito alle sue campagne pacifiste venne ucciso nel 1914.
(38) Viktor Adler (1852-1918) uomo politico austriaco, socialdemocratico, fondò il settimanale "Gleichheit" e diresse l’"Arbeiterzeitung". Fu deputato della Bassa Austria nel 1902 e del Consiglio dell’Impero nel 1905 e membro della segreteria dell’Internazionale socialista.
(39) Andrea Costa (1851-1910) pioniere del movimento operaio italiano. Dapprima anarchico e poi socialista, fondò nel 1880 la "Rivista internazionale del socialismo" ed il 3 aprile del 1881 ad Imola l’"Avanti!". Deputato in più legislature nel 1908 fu presidente della Camera dei deputati.
(40) Henry Mayers Hyndman (1842-1921) socialista inglese, fondò nel 1881 la Federazione socialdemocratica per diffondere la dottrina marxista, fu tra i fondatori della seconda Internazionale socialista.
(41) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, II vol., cit., pp. 56-58.
(42) Nel 1909 per sette mesi Benito Mussolini guidò a Trento la segreteria della Camera del Lavoro. Continui furono i suoi attacchi contro la Chiesa e De Gasperi sulle pagine dell’"Avvenire del lavoratore". Mussolini fu condannato per diversi reati e imprigionato più volte fino alla sua espulsione dal Trentino. Si veda r. de felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino, Einaudi, 3a ed., 1995 pp. 70-72.
(43) Karl Renner (1870-1950) statista austriaco. Durante il periodo universitario aderisce al partito socialdemocratico e si interessa del problema delle nazionalità e della difficile coesistenza nell’impero asburgico. Scrive sul "Kampf" e sul "Arbeiter-Zeitung", nel 1918 è deputato, e più volte ricopre incarichi governativi. Prende le distanze dalle derive fasciste e dopo l’Anschluss si ritira dalla scena politica. Nel 1945 sarà eletto presidente della Repubblica.
(44) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, II vol., cit., p.78.
(45) Ivi, p. 88.
(46) Ivi, pp. 226-227.
(47) Il voto delle donne che ne avevano diritto non era espresso direttamente ma soltanto attraverso procura scritta ad un uomo incaricato legalmente di dare il voto.
(48) a. de gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, II vol., cit., p. 229.
(49) Ivi, p. 235.
(50) Ivi, p. 265.
(51) Ivi, p. 389.
(52) f. malgeri, Storia del movimento cattolico in Italia, vol. V, L’età di De Gasperi, Roma, Il Poligono, 1981, p. 171.
(53) p. hamel, Partecipazione e democrazia in Luigi Sturzo e De Gasperi, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1989, p. 155.